È certamente un bello spettacolo quello dei tanti giovani – circa un milione – che hanno manifestato per sollecitare comportamenti più incisivi per fronteggiare i problemi aperti dai cambiamenti climatici.
Ed è anche confortante che tanti di essi mostrino impegno e sollecitudine per un problema nodale del nostro tempo, purché tanto entusiasmo non diventi ripetitivo a scapito del dovere di apprendere per diventare cittadini consapevoli del domani.
C’è pero da fare una riflessione sull’enfasi che protagonisti e cronisti pongono sulla negatività, sugli strumenti e le scelte dell’impetuoso progresso degli ultimi 100 anni.
Un progresso che ha cambiato in meglio la vita di milioni di persone, sottraendole a ritmi di fatica massacranti, a epidemie devastanti e al buio angoscioso di una vita ristretta nell’ambito del villaggio o di slums urbani.
Non è quindi da condannare in blocco quel cambiamento che è avvenuto nella vita di ognuno di noi, a cominciare dalle conquiste più dimenticate, quella dell’energia elettrica, della cui mancanza la generazione più anziana ha fatto amara esperienza negli anni finali della seconda guerra mondiale.
Delle conquiste della scienza e della tecnica, quindi, non va condannata la sostanza, bensì il loro uso ed abuso, nel segno del profitto ed un’anarchia comportamentale che si sono rivelati distruttivi rispetto ai diritti fondamentali della persona a cominciare di quello alla salute.
Su questo terreno ci vuole un impegno nuovo e responsabile della politica, avvertendo che i regimi tirannici siano oggi quello meno disponibili a preservare ambiente e territorio.
Non c’è da sognare, quindi, il ritorno a un passato che si tinge di colori idilliaci e che invece realizzava grandi esclusioni e gravi ingiustizie.