Ad ogni popolo la propria visione di democrazia, secondo i comuni sentimenti. Imporla dall’alto sortisce effetti contrari.
Immaginare di intervenire su un intero popolo con usanze, costumi, tradizioni e rapporti familiari e sociali diversi per omologarlo a quel diffuso e comune senso civico e di democrazia è pura utopia.
Tale è quanto è avvenuto ed è tuttora sotto gli occhi di tutto il mondo in Afghanistan. Vent’anni di fuoco sotto la cenere ed al segnale di ritirata per “obiettivo raggiunto”, tutto è tornato come prima.
Il sopravvento improvviso di quella parte della società che si riteneva ormai innocua, allineata a regole di civile convivenza, ha messo in discussione tutto quanto di apparente tranquillità venne conquistato, giorno per giorno, nei vent’anni alle spalle.
Il popolo talebano ha dimostrato che è legato ai propri principi, alle proprie regole, alla propria cultura esistenziale e morale e con un colpo di spugna ha cancellato ogni speranza di chi credeva nelle libertà acquisite.
Proteggere l’altra parte del popolo afgano da rappresaglie, soprusi e rivendicazioni con l’evacuazione, con l’abbandono temporaneo – si fa per dire – della propria Patria in attesa di tempi migliori, è atto doveroso di tutte le Nazioni evolute e che abbiano forti sentimenti di altruismo oltre i propri confini, Italia compresa.
Non è una catastrofe naturale quale un terremoto, un’alluvione, una pestilenza che si subisce contro la propria volontà. È esattamente il contrario, è l’opera violenta dell’essere umano che impone ad altri esseri umani regole e modus vivendi che fanno parte del loro modello di vita, di sentimenti con prevaricazioni e sopraffazione, con l’uso di violenze fisiche e morali e con limitazioni di quelle regole di libertà universalmente conosciute e sentite: libera iniziativa e libera circolazione di beni, servizi e persone, con libertà di decidere e di scegliere cosa fare individualmente ed in forma associata.
L’immigrazione clandestina – tanto discussa e discutibile nei modi in cui è gestita dal nostro attuale Governo e dai precedenti sin dal 1998 con la legge Turco-Napolitano prima, Bossi-Fini poi e successivi aggiustamenti, ne costituiscono un’ampia dimostrazione. Si sottolinea sempre di accogliere i fuggitivi per motivi politici e regolamentare i flussi per motivi economici.
Prima gli italiani gridano alcuni politici, blocchi navali aggiungono altri, altri ancora invocano rimpatri subito e quasi tutti auspicano una distribuzione equanime tra i Paesi europei; le realtà sono tante e diverse per cui occorre tatto, buon senso, equilibrio e scelte condivise.
L’articolo 11 della nostra Carta costituzionale afferma che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
In sintesi si ripudia la guerra di aggressione, ma non quella per legittima difesa e per mantenere la pace e la giustizia nel mondo, intervento comunque in capo alle Nazioni Unite con la promulgazione della nostra Costituzione.