Parlando sinceramente, ho difficoltà a capire come un marziano – pur frutto della fantasia di un Satiro del
novecento – possa provare tanto interesse nei confronti delle vicende istituzionali d’Italia: ma tant’è e non
posso che prenderne atto.
Così l’altra sera, partendo dallo scarso rispetto di qualche dirigente comunale verso le esigenze di mobilità
dei cittadini romani (che sempre più spesso trovano improvvisamente chiuse al traffico le strade da loro
abitualmente percorse e alle quali non possono, altrettanto improvvisamente, accedere per le ragioni più
varie: dal deposito di macchine edili abbandonate, fino alla costruzione di piattaforme precarie da destinare
alla celebrazione di eventi della durata di qualche decina di minuti), Kurt ha voluto sapere perché qui da noi
le regole – che sono tantissime, ma che dovrebbero comunque far tutte riferimento ai principi indicati dalla
legge n. 241/90, sulla trasparenza amministrativa – siano scritte al malcelato fine di non esser rispettate, o
peggio ancora per esser rispettate da alcuni, ma non da altri e perché quegli “altri” (che sono una
consistente minoranza) debbano impunemente riversare sulla collettività le nefaste conseguenze della
mancata osservanza delle regole da parte loro.
Kurt, in sostanza, si è convinto che i primi a non rispettare quelle regole siano proprio coloro che hanno la
possibilità di imporle agli altri; esattamente come accadeva ai tempi dei Re Taumaturghi descritti, già nel
1924, da Marc Bloch.
Ma, discutendo di regole, credo di aver compreso quel che più ha colpito Kurt: precisamente il fenomeno –
eminentemente italiano – delle “porte girevoli “, che consiste in questo: il dirigente di un ministero addetto
al controllo di un ente (pubblico o privato che sia) si fa nominare al vertice di quello stesso ente, salvo poi
abbandonare il posto ottenuto per tornare di nuovo all’ufficio di partenza e magari controllare,
approvandolo, il suo stesso operato.
Queste operazioni – che raramente hanno fatto impallidire l’ANAC – possono avvenire addirittura più volte
nel corso di una medesima legislatura: basta infatti trovare un ministro, un presidente di regione o anche
solo un sindaco compiacente perché il dirigente Tizio possa velocemente trasformarsi nel professor Tizio, o
il direttore Caio si trasformi nel presidente Caio o nell’amministratore delegato Caio e/o viceversa: il tutto
sotto gli occhi di tutti, senza che alcuna autorità inquirente (penale o contabile che sia) assuma l’iniziativa di
indagare sull’accaduto.
Gli esempi delle Università (da anni a numero chiuso) e delle società pubbliche (ove imperversano, sempre
da anni, Mandarini di Stato forti come le truppe di Elìte) dovrebbero dunque spingere Governo e
Parlamento a qualche approfondita riflessione sull’immobilità che ammanta ormai quei settori e sulle
disfunzioni che ne derivano, riflettendosi sulla stessa immagine dell’Italia in Europa; ma di tali spinte non ci
è dato rinvenir traccia.
Anche simile inerzia potrebbe avere però una spiegazione: nel giuoco delle porte girevoli sono talvolta
coinvolti anche magistrati o simili, taluni dei quali vanno e vengono dal Parlamento oppure dalle assemblee
regionali come fossero altri da sé e ogni qualvolta alcuno osi domandar loro ragione dell’accaduto, gli
interessati (giudici o pubblici ministeri che siano) si trincerano dietro generici richiami al diritto
costituzionalmente garantito di poter essere – ciascuno di loro – anche attivo in politica, senza per questo
dover subire pregiudizi nell’esercizio della carriera di rispettiva provenienza,.
È questo un aspetto non secondario del rapporto fra libertà e potere, ove la prima non dovrebbe mai
manifestarsi in concomitanza con il secondo, se non si vuole che sorga e si consolidi una classe di uomini
talmente liberi da diventare, oltre un certo segno, addirittura più liberi o (mutuando l’Orwell de “La
Fattoria degli animali”) più uguali degli altri.
Ascoltandomi, il marziano scuoteva il capo e – alla fine di quanto gli ho esposto – mi ha domandato se è vero
che questo andazzo dovrebbe essere il primo a venir corretto da quella riforma della pubblica
amministrazione che l’Unione Europea ha posto fra le condizioni da realizzarsi prima di avviare l’erogazione
delle somme previste dal Recovery fund.
Non sapendo bene cosa rispondere – visto che il disegno riformatore è ancora allo stadio delle buone
intenzioni – ho cercato di chiudere il discorso, affermando che sono ancora in attesa di leggere qualcosa di
più delle semplici linee portanti di quella riforma e che mi auguro di poter trovare tempestivamente la
relativa documentazione sul portale del Governo.
Ne è scaturito un breve silenzio, imbarazzante per entrambi, ma ho dovuto poi attendere che Kurt tornasse
ad occupare il suo posto fra le pagine del libro che lo ha visto protagonista circa settant’anni fa e sono
tornato a immergermi nella lettura del “Diario dell’anno della peste” di Daniel De Foe: un’opera molto più
antica, ma non per questo meno attuale di quella che ci ha lasciato Ennio Flaiano.