L’Italia delle eccellenze agroalimentari è una realtà mondiale. Un punto di riferimento per qualità, attenzione alla produzione ed ai risultati. Il professor Ubaldo Livolsi, esperto di politiche economiche e finanziarie, banchiere d ‘ affari, grande conoscitore delle logiche dei mercati internazionali avverte le imprese :occorre fare attenzione.
Lo scenario che evoca per i prodotti Made In Italy è quello dei rapidi cambiamenti. Così, anche le imprese italiane, quelle più avvedute, dovrebbero fare un salto verso il nuovo. Secondo il professor Livolsi le imprese agroalimentari nazionali dovrebbero trovare all’estero “un’impresa nativa per creare una joint venture non solo commerciale, ma se possibile, anche produttiva”. Sul Piano nazionale di Rinascita è ottimista, a condizione che si seguano le direttive del Presidente del Consiglio Draghi e che le imprese siano attente a cogliere il “nuovo” facendo investimenti per crescere.
Professor Livolsi, nel nostro paese esistono realtà imprenditoriali importanti. Il Made in Italy, rappresenta qualità assoluta, siamo l’1% della popolazione mondiale ed il 99% vorrebbe essere noi. Qual è il nostro limite, e perché secondo Lei, alcune realtà potenzialmente importanti non riescono a guadagnare quote di mercato all’estero pur avendo un’alta reputazione sui prodotti?
Il settore agroalimentare è un po’ lo specchio delle eccellenze del nostro Paese, dei suoi meriti, delle sue potenzialità, ma anche dei limiti che sono, più che propri, in parte connaturati a una certa e piuttosto diffusa mentalità imprenditoriale nazionale. Abbiamo questa carta straordinaria: l’italianità è un marchio strategico unico, riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Tuttavia non basta esportare, fare trading all’estero. In uno scenario competitivo e globalizzato come l’attuale, non è sufficiente avere l’export manager come era tipico delle PMI degli anni 90, è basilare essere presenti direttamente negli Stati dove si fa business. Alle nostre aziende, a maggior ragione a quelle dell’agroalimentare, serve un cambio di paradigma: fino a qualche anno fa cercavano un partner locale per commercializzare i loro prodotti sui mercati esteri, oggi devono trovare un’ impresa nativa per creare una joint venture non solo commerciale, ma se possibile anche produttiva. Non dimentichiamo che diversi Paesi, come Cina e Russia, hanno sviluppato politiche industriali volte a favorire la localizzazione commerciale o industriale delle nostre imprese offrendo un insieme di incentivi commerciali, industriali e fiscali. Le premesse, ci sono, fin da subito, adesso che tutti ci attendiamo il rimbalzo dall’uscita della pandemia. Secondo Ismea Mercati, a marzo l’agroalimentare italiano ha realizzato un +10,6% di export, dopo il -4,7% di gennaio. Significativo per anche il dato sulle importazioni: dopo la flessione del 2020 e del primo bimestre del 2021, registrano a marzo un aumento di quasi il 12% su base annua. Alla luce della vocazione trasformatrice dell’industria agroalimentare nazionale, il recupero dell’import è un segnale di un’ulteriore crescita delle consegne all’estero nei prossimi mesi. Ciò ci riconduce a quanto dicevamo : la nostra industria agroalimentare è molto apprezzata all’estero e sa fare molto bene la lavorazione in Italia, ora deve anche essere presente oltreconfine a livello produttivo e con una propria organizzatine commerciale in loco.
Il settore agroalimentare ha dimostrato di tenere il passo anche nei periodi più difficili puntando su innovazione, digitalizzazione e sostenibilità che rappresentano i megatrend del momento. Stare al passo con questi trend per le aziende richiedono investimenti importanti e non tutte le PMI italiane, per la maggior parte sottocapitalizzate, possono affrontarli. Molte aziende non possono affrontare nuove esposizioni con il sistema bancario per state al passo con i trend del momento, e così pur vantando prodotti eccellenti, vanno in sofferenza poiché non riescono a stare al passo con il mercato, quali potrebbero essere delle soluzioni per queste realtà?
Il comparto agroalimentare è certamente uno di quelli potenzialmente più congruenti con i megatrend globali: quelli, per intenderci, che interessano non solo l’Unione europea, che ha espresso Next Generation EU, ma anche gli Stati Uniti di Joe Biden e la Cina di XI Jinping. Di fatto tutte le scelte delle grandi economie sono ormai improntate alla sostenibilità: la digitalizzazione, l’innovazione e la internazionalizzazione sono le declinazioni imprescindibili di tale visione. Per fare tutto questo, malgrado le politiche economiche degli Stati, le aziende devono fare la loro parte, devono investire, ma le nostre PMI sono spesso sottocapitalizzate. Per quanto riguarda l’agroalimentare, oltre che l’aspetto tecnico e fondamentale dell’equity e la maggiore combinazione delle risorse pubbliche e private, è fondamentale entrare nel dettaglio, cioè identificare le principali aree di intervento e i migliori percorsi delle filiere agroalimentari. A favore di tale cambiamento, è utile il lavoro complessivo che sta facendo il Governo presieduto da Mario Draghi in termini, non solo di semplificazione infrastrutturale e dello Stato, ma di fiducia nel futuro, azioni che andranno a influire su tutto il settore dell’agrofarmaco, anche su quello della cosiddetta piccola scala, fatto da migliaia e miglia di piccole aziende agricole che insieme rappresentano un valore formidabile per l’Italia.
Il food vola in borsa, il mercato AIM vale 1,3 miliardi. AIM Italia, è un mercato dedicato alle PMI dinamiche e competitive, in cerca di capitali per finanziare la crescita grazie ad un approccio regolamentare equilibrato, pensato per le esigenze di imprese ambiziose. AIM Italia offre un percorso di quotazione calibrato sulla struttura delle piccole e medie imprese, basandosi sulla figura centrale di un consulente – il Nomad – che accompagna la Società durante la fase di ammissione e per tutta la permanenza sul mercato rappresenta un propulsore per la crescita dell’economia reale e per lo sviluppo delle PMI del territorio. Secondo quanto emerge dalle analisi svolte dall’Osservatorio AIM, il settore alimentare rappresenta il 5% del mercato AIM, con una capitalizzazione di mercato di 404 milioni di euro e capitali raccolti in Ipo per 126 milioni di euro e una grossa potenzialità per il futuro. Lei, cosa ne pensa? Crede che possa rappresentare un canale per le PMI italiane, o esistono ulteriori soluzioni alla quotazione su questo mercato per le PMI?
La quotazione in AIM (Alternative Investment Market) Italia delle nostre PMI del settore agroalimentare è certamente una scelta essenziale. C’è però ancora troppa timidezza da parte degli imprenditori che temono che alla quotazione corrisponda una perdita di controllo sulla propria azienda. Va anche detto che l’AIM deve crescere ulteriormente. Fino ad oggi ha avuto livelli di scambi più ridotti di corrispettivi mercati come quello di Londra e per certi versi sconta una scarsa liquidità. I nuovi regolamenti stanno però migliorando il contesto. I PIR (Piani Individuali di Risparmio) sono un’opzione che si è rivelata adatta per allargare la prospettiva dell’investimento, anche alla luce delle nuove disposizioni legislative che aboliscono la tassazione sui capital gain se i PIR sono detenuti da alcuni anni e viene dato loro un appeal fiscale di un credito d’imposta del 20% sulle perdite degli investimenti. Credo anche che la quotazione all’AIM possa essere propedeutica a quella al mercato più importante dell’FTSE. È però opportuna una ulteriore semplificazione. Difficile che un imprenditore decida di trovare capitali con la quotazione in Borsa se questa operazione risulta complicata e poco flessibile. Gli imprenditori e gli investitori italiani sono per loro natura diffidenti, l’evoluzione dei PIR sarà per così dire spontanea quando di risolverà l’antica questione della semplificazione della quotazione e dell’accesso alla Borsa e all’AIM, riducendone i costi e le procedure burocratiche.