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Am 17.1.1989 verhandelte der II. Senat des Bundesverfassungsgerichtes über die Verfassungsmäßigkeit des Bundeshaushaltsgesetzes für 1981. Damals hatte die SPD/FDP-Koalition die Kreditermächtigung für den Haushalt um 1,9 Millarden DM höher angesetzt als die für Investitionen vorgesehenen Ausgaben. Da nach Meinung der damaligen Opposition, der CDU/CSU-Bundestagsfraktion, hiermit gegen Artikel 115 des Grundgesetzes verstoßen wurde, hatten 231 Abgeordete der CDU/CSU-Fraktion am 6.9.1982 den Antrag beim Bundesverfassungsgericht gestellt, die Bestimmung über die damalige Kreditermächtigung für verfassungwidrig zu erklären. Artikel 115 verpflichtet, die Verschuldung unterhalb der für Investitionen vorgesehenen Ausgaben zu halten. Die Entscheidung in diesem "Abstrakten Normenkontrollverfahren" soll am 18. April 1989 verkündet werden.

I limiti dello Stato secolarizzato nell’era del Covid

martedì, 27 Aprile 2021
1 minuto di lettura

«Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire». Il famoso paradosso del giurista tedesco Böckenförde racchiude la singolare parabola delle democrazie contemporanee. La storia euro-occidentale si snoda come un lungo processo di secolarizzazione delle istituzioni, dallo sfondo delle guerre civili di religione, giungendo fino alla relazione tra Stato e società civile e alla questione del rapporto tra libertà individuali e Stato del benessere.

Nelle liberal-democrazie i diritti sono ormai onnipresenti ed imprescindibili. La loro diffusione e creazione ex novo si spiega nella misura in cui il diritto stesso di un cittadino è totalmente svincolato dal dovere che ne dovrebbe scaturire. Per amore della libertà – riprendendo il pensiero di Böckenförde – lo Stato contemporaneo ha deciso di correre questo rischio. Infatti, da un lato la democrazia liberale può garantire la propria sopravvivenza solo se la stessa libertà si regola dall’interno, partendo, dunque, dalla sostanza morale dell’individuo dall’omogeneità della stessa società. Ma d’altra parte, tuttavia, se lo Stato cerca affannosamente di provvedere da sé al mantenimento delle modalità di regolazione interne alla società, attraverso essenzialmente i mezzi della coercizione giuridica, esso non può che abdicare alla propria liberalità ricadendo in quella visione statuale totalizzante tipica delle nazioni a cavallo tra XV e XVI secolo.

In tempi di pandemia, tale empasse logico-giuridica assume connotati sempre più paradossali. Prendiamo ad esempio il caso italiano. Nel nostro ordinamento costituzionale vi è la possibilità di restrizioni alla libertà di circolazione, previste in linea generale dalla legge, per motivi di sicurezza nazionale e di pubblica sanità. Ma qual è il doveroso bilanciamento costituzionale di fronte ad un restringimento così ampio delle libertà personale? In questo caso, il diritto alla salute deve essere interpretato quale prerogativa fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività. Ma fino a che punto questo continuo bilanciamento-sbilanciamento di così grandi libertà fondamentali sarà tollerato dai cittadini? Le continue chiusure e restrizioni alle attività economiche, dettate dall’aumento dei contagi e dal costante numero di decessi, portano con loro la crescente frustrazione dei cittadini, di fronte al dilemma sempre più assurdo tra diritto alla salute e diritto all’iniziativa economica. Si tratta di un interrogativo valido non soltanto per situazioni emergenziali, perché va a sollecitare l’intera impalcatura dei nostri regimi democratici.

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