L’Italia in risalita dalla voragine ma l’esito è incerto. È la valutazione del Centro studi di Confindustria che prevede un graduale recupero del Pil, concentrato nella seconda metà di quest’anno, arrivando al +4,1% nel 2021 e al +4,2% nel 2022. Il tutto naturalmente condizionato dal ritmo della campagna vaccinale e dalla decrescita dei contagi. Solo tra oltre un anno, meglio dire tra due anni, l’economia nazionale tornerà a colmare la caduta o come la indica Confindustria, la “voragine” aperta nel 2020 dalla pandemia.
Un importante contributo alla risalita del PIL sarà fornito dagli effetti derivanti dalle risorse europee che spetterebbero all’Italia.
Mentre le esportazioni italiane, in profonda caduta nel 2020 (-13,8%), risaliranno dell’11,4% nel 2021 e del 6,8% nel 2022, sostenute dalla ripresa della domanda mondiale. Le vendite all’estero di beni sono attese recuperare già nel 2021, grazie al rimbalzo della domanda UE e USA; quelle di servizi, invece, zavorrate dalla crisi del turismo, sono attese chiudere il gap solo alla fine del biennio, riprendendo slancio con l’uscita dall’emergenza pandemica nel mondo.
AUMENTARE GLI INVESTIMENTI
“Dopo l’ampia perdita nel 2020 (-9,1%), gli investimenti sono previsti aumentare a ritmi elevati. Nel 2021 del +9,2%, anche se gran parte del recupero è stato già acquisito nella seconda parte del 2020”, si legge nel rapporto Confindustriale, “Nel 2022 oltre i valori pre-Covid (+9,7%), grazie al migliore contesto internazionale. Gli investimenti privati saranno frenati dal debito emergenziale delle imprese”.
La ripartenza dell’economia italiana è complicata, inoltre, dal forte rincaro delle materie prime, accentuatosi a inizio 2021, che riguarda i metalli e gli alimentari, oltre al petrolio.
Nella risalita dell’economia attesa per il 2021, si avrà un riallungamento delle ore lavorate pro-capite; il numero di persone occupate, invece, è atteso ancora in calo (-1,7%), dopo la flessione limitata al -2,8% nel 2020 (770mila occupati in meno nel quarto trimestre 2020 rispetto a fine 2019). Nel 2022, secondo anno di risalita del PIL, ci sarà spazio anche per un recupero del numero di occupati (+1,4%, pari a +313mila unità).
Il deficit pubblico è stimato in graduale calo ma su valori ancora elevati: 7,8% del PIL nel 2021 e 4,8% nel 2022, dal picco di 9,5% nel 2020 legato alla caduta del PIL e alle misure adottate per fronteggiare la crisi pandemica. Il debito pubblico in rapporto al PIL, dopo il balzo di 21 punti nel 2020, arriverà al 155,7% quest’anno. Poi inizierà a scendere, al 152,9% nel 2022, per il miglioramento del deficit e la risalita del PIL. Confindustria mette in evidenza anche il salto dell’economia globale, con una ripartenza che definisce “asimmetrica”. “La risalita dell’economia mondiale è trainata da Stati Uniti e Cina. Invece in Europa, in Italia in particolare, la caduta del PIL è stata più forte e il recupero è atteso più lento. La crisi, quindi, ha ampliato il divario di crescita strutturale tra Europa e Stati Uniti, e tra Italia e paesi europei”, sintetizza il documento del Centro studi. La svolta è possibile ma servirà un cambio di passo notevole.
RISCHIO DI UNA RIPRESA A PIÙ VELOCITÀ
“Per colmare questo ritardo di velocità occorre un cambio di passo nelle politiche per le imprese e gli investimenti, per il lavoro e la formazione”, sottolinea l’analisi del Centro studi, “L’impatto della crisi è stato fortemente asimmetrico anche tra settori, tra le imprese e tra i lavoratori, anche per le trasformazioni strutturali che la pandemia ha accelerato: dal digitale all’automazione, dalla tutela della salute alla sostenibilità ambientale. Queste eterogeneità persistenti generano il rischio di una ripresa a più velocità”. Il Centro studi inoltre indica anche i limiti di una ripresa generalizzata, perché le difficoltà in Italia sono maggiori ed hanno ritmi diversi.
“Ciò richiede una gestione molto equilibrata delle politiche emergenziali, che hanno assicurato la tenuta del tessuto produttivo e sociale, non solo in Italia”, scrive Confindustria. Particolare attenzione il Centro studi dedica al tema dei debiti delle imprese. L’attualità e le prospettive non sono buone, con il rischio che il peso dei debiti sia un freno per il rilancio economico.
“Per quanto riguarda l’indebitamento delle imprese italiane, che si erano rafforzate patrimonialmente prima della crisi, hanno fatto un massiccio ricorso ai prestiti “emergenziali” nel 2020”, sottolinea il documento, “così come è successo negli altri principali paesi europei. Lo strumento di policy maggiormente utilizzato in Europa è la garanzia pubblica per prestiti bancari, ma altre misure hanno un ruolo rilevante: in Italia, la moratoria sui prestiti pre-esistenti, specie per le PMI; in Germania, varie misure per la patrimonializzazione delle imprese, che hanno permesso un calo dei prestiti già nella seconda metà del 2020. Il peso del debito, misurato in anni di cash flow necessario per ripagarlo, è salito poco sopra 2 anni in Germania e a quasi 7 in Italia e Francia. Ciò può avere un impatto negativo sugli investimenti delle imprese”. È allora, secondo Confindustria, è necessario rivedere gradualmente le policy. Oltre ad allungare il periodo di rimborso dei debiti, nel lungo periodo occorre sostenere il riequilibrio della struttura finanziaria delle imprese, con la promozione di canali di finanziamento alternativi, in particolare quelli del capitale azionario.
IL DRAMMA DELLA DISOCCUPAZIONE
“La politica economica in Europa ha mirato a scongiurare aumenti eccessivi della disoccupazione”, fa presente Confindustria, “con il rafforzamento, anche con risorse comunitarie (tramite il SURE), dei programmi nazionali di sostegno al reddito dei lavoratori in caso di riduzioni dell’attività. L’impatto della crisi sul mercato del lavoro europeo è più drammatico per i giovani e per le donne, per i dipendenti a termine e per quelli a bassa qualifica. I processi di automazione e digitalizzazione sono stati accelerati dalla crisi: l’80% dei datori di lavoro intende rafforzare la digitalizzazione e il lavoro a distanza e il 50% l’automazione del lavoro”. Le politiche del lavoro, secondo l’analisi degli industriali, devono essere rimodulate per aumentare l’occupabilità degli individui, compresi i lavoratori in CIG, i disoccupati, gli scoraggiati fuori dalla forza lavoro, e di facilitare la ricollocazione verso nuovi lavori e settori in espansione.
I settori più colpiti dalla crisi sono quelli più connessi con le presenze turistiche. “Nel 2020 gli arrivi turistici mondiali sono crollati di tre quarti, generando perdite pari al 2% del PIL globale e mettendo a rischio 100 milioni di posti di lavoro”, calcola il Centro studi, “Maggiormente colpite sono le categorie più deboli: giovani e donne, lavoratori meno qualificati, micro o piccole imprese”. L’Italia ha una storica specializzazione turistica ed è in difficoltà. Il settore, attraverso i legami con gli altri comparti, vale il 13% del PIL e il 14% dell’occupazione. L’Italia primeggia per arte e cultura, ma è in ritardo nelle infrastrutture di trasporto e digitali e nella capacità dei governi di definire le priorità in materia di turismo, legate alla promozione del brand Italia e all’attrattività del Paese all’estero. “Una strategia di lungo periodo”, sottolinea infine Confindustria, “necessita di una più stretta cooperazione degli attori pubblici e privati che operano nel settore”.