Inevitabilmente è di nuovo Pasqua: la seconda dall’inizio dell’epidemia di Covid-19.
Inevitabilmente non riesco a trovare, nei vuoti giorni costrettamente casalinghi e solitari di questa anomala Settimana Santa, argomenti che non portino alla pandemia.
Innanzitutto il pensiero ed il cordoglio per i quasi tre milioni di morti che la malattia ha provocato nel mondo: con l’unico sollievo della loro numerica limitatezza rispetto agli oltre cinquanta milioni di decessi causati un secolo fa dalla “spagnola”.
Certamente effetto delle mutate condizioni igieniche e sanitarie dell’umanità che nei cento anni trascorsi ha compiuto progressi impensabili nella medicina, debellando, grazie ai vaccini (ricordo perfettamente la campagna antipolio e la “marchiatura” anti vaiolica) ed agli antibiotici, malattie prima mortali e incurabili.
Non è incurabile il Covid-19, ma è fortemente contagioso: al punto da mettere in crisi con un eccesso di ricoveri il sistema ospedaliero: non solo “nostrano”, ma di tutto il mondo.
Soprattutto è una malattia che, non essendo conosciuta, ha avuto un duplice effetto.
Il primo, psicologico, che ci ha coinvolto tutti, consistente in un timore verso la stessa, maggiore di quello verso malattie ben più gravi e con un maggiore indice di mortalità, sulla duplice considerazione della sua trasmissibilità e della mancanza di una procedura certa per affrontarla (la cardiopatia determina circa nove milioni di morti l’anno, il triplo del Covid-19; l’ictus sei milioni, il doppio; fonte Onu).
Il secondo effetto, non preventivabile, derivato dal nostro sistema di comunicazione mediatica e sociale che ha trasformato stormi di virologi, epidemiologici, infettivologi ed esperti vari in autentici stregoni che sono riusciti a dire, in TV e sui social, tutto e il contrario di tutto: mentre gli scienziati – che seriamente non parlano – ancora oggi sono cauti e attendono gli esiti di sperimentazioni necessariamente lunghe.
La reazione mondiale alla pandemia va uniformandosi soltanto in questo secondo anno, con prolungate limitazioni di diritti e libertà, faticosamente conquistate dall’Illuminismo in poi da una parte soltanto dell’umanità, e col tentativo di una vaccinazione di massa.
Solamente quando tutto sarà finito si potranno fare analisi serie sull’efficacia del diverso atteggiarsi verso la pandemia e sulla ragione per cui la percentuale di contagi e di decessi non sempre è proporzionale al rigore imposto dai governi (l’Italia ha ad oggi 110.000 morti con una popolazione di 60 milioni, lo 0,183%; gli USA 552.000 decessi su 330 milioni di abitanti, lo 0,167%, un po’ di meno, nonostante Trump).
Basta, però. Mi impongo di cambiare discorso, pur rimanendo nel tema.
Così mi rimprovero e mi pento per avere definito, nelle prime righe di questo articoletto, “vuoti” i giorni della settimana di Passione, invece intensissimi.
Passione, dolore e morte sulla quale trionfa la vita: perché finisce con la Gloria della Resurrezione e col lunedì dell’Angelo. Così che la Pasqua è una festa anche nei momenti e nelle celebrazioni più toccanti. Ed è una festa che, al contrario del Natale, che è casalingo e familiare, va vissuta fuori, per la strada, gioiosamente con la gente.
Mi ritrovo bambino, tenuto per mano da mia madre – ma insieme mi rivedo adulto che tengo per mano uno dei miei figli – farci largo per la folla per visitare i “sepolcri” col grano bianco cresciuto al buio, allestiti in ogni Chiesa del paese: e bisognava visitarne tre.
Poi il giorno dopo la processione del Venerdì Santo: che impressione il Cristo velato, nella sua bara, seguito dalla Addolarata, una Madonna vestita di nero come le nostre donne del secolo scorso negli interminabili anni di lutto; con un pugnale che le trafigge il cuore, segno di un dolore che non cessa mai. La si aspettava passare sotto casa, affacciati al balcone; poi si scendeva e la si seguiva – finanche mio padre! – fino alla Chiesetta e, spintonando, si arrivava a rendere omaggio al Cristo Morto.
Dal sabato un crescendo di gioia: la mirabolante processione del Caracolo a Caulonia, con una dozzina di statue rappresentanti le varie fasi della Passione.
Infine la domenica l’esplosione entusiastica ed irrefrenabile della Resurrezione, con la complessa processione dell’Affrontata (o della Cunfrunta o della Svelata), quasi in ogni città della Locride, col “compare” San Giovanni (“u Sangianni”) che, correndo, fa da spola tra il Cristo risorto e la Madonna; e poi l’incontro tra Madre e Figlio a mezza strada, col velo nero di Maria che viene subitaneamente rimosso – la “svelata”, appunto – facendola brillare nel suo splendore e nel trionfo.
E subito tutti – anche tra sconosciuti, pensate! – a baciarsi ed abbracciarsi.
Con una festa – essendo la mia Locride, terra di una cultura diffusa e resistente, e piena di diversità – prolungabile, se si ha ancora voglia di “riti”, fino alla Pasqua ortodossa, nella vallata bizantina dello Stilaro, col monastero di San Giovanni Therestis di Bivongi, o nella Chiesetta di San Giovannello nell’incredibile Gerace.
Auguri di una Pasqua 2021 sana e serena; e, mi porto avanti, di una Pasqua 2022 tra la folla. E perdonatemi: ma oggi volevo proprio vivere e raccontarvi tutta un’altra storia…