Nel nostro Paese la Riforma agraria fu avviata con ritardo negli anni cinquanta. Quell’esperimento sociale, però, riuscì solo a metà. Avrebbe avuto un senso ai primi dell’Ottocento. Ma quando si avviò la ricostruzione del Paese, al Sud pochissimi giovani vollero restare nelle campagne a zappare la terra o ad allevare il bestiame. Perché mai un giovane, nel pieno del suo vigore fisico e mentale, avrebbe dovuto seguire le orme di suo padre? Il vecchio bracciante agricolo, lui sì, aveva realizzato il suo sogno. Dopo secoli era finalmente diventato piccolo proprietario terriero e coltivatore diretto. Ma per i giovani figli di contadini, operai o artigiani, la musica era cambiata. Il richiamo di Torino, di Milano e ancor più della Germania, della Svizzera o del Belgio, per giovani squattrinati e senz’arte né parte, era troppo forte.
Emigrazione giovanile di massa degli anni Cinquanta
Una sirena a cui pochissimi dissero di no. Ricordo come fosse ieri i primi giovanotti dei paesi lucani, calabresi o irpini che tornavano in vacanza. Dopo pochi anni di lavoro alla Wolkswagen o nei cantieri di Monaco e Zurigo, rientravano non più con le valige di cartone o con le tradotte ferroviarie. Viaggiavano comodi e sicuri di sé con la Mercedes, la Bmw o l’Audi. Macchine costose e brillanti che un figlio di contadino o artigiano, da noi, negli anni sessanta, poteva vedere solo col binocolo. Così iniziò al Sud il secondo, massiccio esodo migratorio che impoverì i paesi e le nostre campagne.
Fu l’emigrazione e non il Brigantaggio o la Riforma agraria, avrebbe detto Giovanni Russo, a provocare da noi la prima, vera Rivoluzione. Poi negli anni sessanta è arrivata al Sud la grande industria: Bagnoli a Napoli, l’Ilva a Taranto, il Petrolchimico a Gela e a Brindisi, la Pozzi e l’Anic in Valbasento. Fu allora che scoppiò la frenesia del posto fisso nello Stato o nelle aziende a partecipazione statale. Per la verità, ancor prima che scoppiasse questa brutta pandemia, si è cercato di invertire la tendenza. Scommettendo soprattutto sulle cooperative, sulle fattorie sociali, sugli incentivi, per rendere più competitivo il mercato agricolo europeo e mediterraneo.
Rivoluzionare le campagne
E qui non possiamo passare sotto silenzio questo nuovo traguardo epocale che viene indicato come “Transizione ecologica”. Come potrà avviarsi al Sud questo grande progetto? Secondo me si potrebbe anche fare a meno della consulenza delle grandi società internazionali, tipo Mc Kinsey, Deloitte o Ernest e Young. Per avere successo, la transizione ecologica dovrà promuovere innanzitutto una profonda trasformazione del mondo rurale. E dovrà favorire anche la Green Economy, cioè una trasformazione profonda del ciclo produttivo e, con i suoi benefici, la rinascita delle campagne. Per questa “Transizione” al Sud, di progetti ce ne sono. Un primo passo avanti, l’ha compiuto nel gennaio scorso l’Anci e la Città metropolitana di Napoli con il Progetto Sibater (Supporto Istituzionale alla Banca delle Terre abbandonate e incolte).
Fattorie intelligenti, terre e immobili abbandonati ai giovani
Il suo obiettivo è quello di censire le terre e i relativi immobili, come i fabbricati rurali di proprietà dei Comuni, che tuttora permangono in stato di abbandono e concederli in gestione ai giovani dai 18 ai 40 anni, sulla base di progetti di valorizzazione. Anche nel Mezzogiorno, come sta già avvenendo al Nord e in altri paesi europei, è giunto il tempo di convertirsi ad una agricoltura intelligente, finanziando e sostenendo progetti-pilota che diano nuovo slancio al mondo rurale.
La transizione ecologica può essere avviata promuovendo le cosiddette fattorie intelligenti, (smart farming) uno strumento che fornisce alle aziende agricole un sistema completo per controllare con precisione, da PC o tramite tablet o smartphone, tutto il ciclo produttivo. Le altre regioni del Sud potrebbero elaborarne anche altri di progetti, come quello avviato a Napoli. Una cosa è certa. L’Europa ha cambiato registro e ora ci mette a disposizione risorse preziose. Di queste, non possiamo sprecare un solo centesimo, se vogliamo far rinascere le campagne e quel mondo rurale che tanta parte ha svolto nella storia e nella civiltà del nostro Mezzogiorno.