Il Paese invecchia, gli over sessanta sono il doppio dei 20enni. La non auto sufficienza galoppa e le poche strutture, stando al numero e ai fatti di cronaca, sono spesso inadeguate o dei piccoli lager. Sulle famiglie e sui singoli, rimane per lo più il peso di milioni di malati cronici che non trovano posto in strutture pubbliche e private. È il ritornello che da anni accompagna ogni indagine sulla condizione della vecchiaia in Italia.
E, ogni anno ci si accorge che il problema è sempre lì, irrisolto, aggravandosi. Di volta in volta le cose si complicano fino ad essere oggi una emergenza sottaciuta e drammatica per condizioni di vita, di impegno personale e familiare, per la dispendiosità economica e di tempo impiegato per garantire una assistenza umana e sanitaria decente.
Prima questione, per capire il fenomeno servono i numeri: nel 2019 l’indice di vecchiaia per l’Italia dice che ci sono 173,1 anziani ogni 100 giovani. Calcoli che in progressione sono ancora più allarmanti: gli ultra75enni , – oggi il 22,4% – nei prossimi venti anni toccherà il 30%.
Stesso discorso sotto il profilo sanitario: un anziano su due soffre di almeno una malattia cronica grave o è multicronico. La risposta a questa situazione così complessa è una sorta di disorganizzazione complessiva, dia sotto il profilo organizzativo che quello qualitativo. Il panorama dell’assistenza è ricco di inefficienze, inappropriatezza, di pochi fondi e anche spesi male.
Le mancate riforme pesano in quanto alle famiglie rimane il gravoso percorsi dell’assistenza e di impegni economici che spesso mandano in tilt i bilanci casalinghi. Situazione difficile che emerge dai dati statistici dell’Istat dove si mette in evidenza che la metà degli anziani con gravi problemi è assistito da persone del nucleo famigliare.
Lo Stato versa come sostegno economico una retta di accompagnamento di 515 euro lordi mensili, complessivamente a beneficiare della indennità sono 2 milioni di persone. A conti fatti si arriva ad una cifra considerevole, 13 miliardi l’anno. Ci sono poi le forme di assistenza socio sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale. Come l’Assistenza domiciliate integrata (AdI), e i Servizi di assistenza domiciliate (Sad).
Sono, inoltre, a carico del Ssn le quote sanitarie (50% del totale) dei costi relativi al soggiorno in Residenze sanitarie assistite. Malgrado gli sforzi economici ed organizzativi, dello Stato e delle famiglie, i problemi restano ancora ampiamente insoluti. A creare l’emergenza è proprio il numero di persone anziane destinate alle malattie croniche e alla non auto sufficienza, unita alla complessità dell’assistenza che deve essere 24ore su 24.
Un solo dato per comprendere meglio il fenomeno: attualmente il servizio di Assistenza domiciliare riesce ad erogare per ogni paziente trattato una presenza media di 20 ore annue. Mentre il numero delle strutture pubbliche e private per il trattamento di pazienti a lunga degenza sono vistosamente carenti. In questo scenario che porta annualmente i segni di una crisi economica fatta di tagli e riduzioni, le scelte da fare diverrebbero epocali. Da anni lo Stato ha cercato di fronteggiare la situazione con riforme tampone, tuttavia, oggi di fronte alle richieste e necessità divenute di massa, alla crisi economica delle famiglie, – gestire un congiunto in lungo degenza significa ‘impoverimento del nucleo famigliare – iniziano così a delinearsi nuove scelte e interventi innovativi.
Si profila un patto tra sistema pubblico e quello privato, proprio perché appare inevitabile far ricorso a strutture private adeguate, moderne ed efficienti. Con un personale qualificato capace di affrontare le mille emergenze assistenziali. Naturalmente, secondo i nuovi modelli di assistenza, l’impegno dello Stato dovrà essere quello di dare sostegni alle famiglie, definire una riforma dell’assistenza nelle sue forme sempre più complesse, controllare le strutture accreditate o che offrono servizi agli anziani. Per gli analisti di Istat, Censis, per lo stesso Sistema sanitario nazionale c’è la necessità di elaborare nuovi modelli di organizzazione e assistenza, di trovare risorse attraverso un mix di interazioni, tra le famiglie, i fondi della sanità, fondi pensioni, casse di previdenza private, terzo settore; in modo da creare un circolo virtuoso ed efficiente di copertura economica che si riveli efficace sul piano dell’assistenza.
A cogliere per primo questa necessità e questo obiettivo non più rinviabile già dal 2016 è il Piano nazionale cronicità, predisposto da Ministero della Salute. “Un piano”, scrivono tra l’altro gli analisti, “nel quale sono indicate le linee di indirizzo, pur nel rispetto dei singoli modelli regionali, per definire un modello unitario di intervento, monitorato da una Cabina di regia nazionale”.