lunedì, 16 Dicembre, 2024
Ambiente

Eppur si scalda! Il negazionista dentro di noi

È di questi giorni la notizia che la Terra non è mai stata così calda negli ultimi 12.000 anni. Lo ha dimostrato uno studio sui fossili marini guidato dalla statunitense Rutgers University, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature, mettendo ancora una volta a tacere i negazionisti climatici, e anche i cosiddetti Clintel (negazionisti firmatari della lettera al segretario dell’ONU). Lo stesso Joe Biden fra i suoi primi provvedimenti da presidente degli Stati Uniti, ha avviato le procedure per il rientro nell’Accordo di Parigi sul clima. L’obiettivo di tale Accordo, ricordiamo, è quello di contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, per il periodo dopo il 2020, che in realtà per molti appare un miraggio, un obiettivo irraggiungibile.

I nessi fra degrado ambientale e Covid e altre possibili pandemie sono stati evidenziati da eminenti scienziati, il riscaldamento climatico è un fatto innegabile, eppure tutti gli appelli per una presa di coscienza collettiva, che coinvolga non solo i media e i governi, ma anche i comportamenti dei singoli individui, sono trascurati o perlomeno non si traducono in azioni. La difficoltà a scuotere le coscienze sui temi ambientali sono state ben sottolineate dallo scrittore Jonathan Safran Foer nel suo libro Possiamo salvare il mondo prima di cena (1), dove spiega che l’emergenza ambientale non è un tema facile da raccontare, perché non riesce a coinvolgere gli individui sul piano emotivo, e quindi a scuotere le coscienze e spingere ad agire. Nonostante le evidenze, e pur accettando la realtà fattuale è come se non fossimo in grado di crederci fino in fondo, prevale la sensazione che le calamità siano astratte, distanti nel tempo e nello spazio, isolate. Secondo Foer “La crisi climatica è anche una crisi della cultura, e pertanto dell’immaginazione…una crisi della capacità di credere. Il problema della crisi del pianeta è che si scontra con una serie di pregiudizi cognitivi innati correlati all’apatia”. In altre parole per Foer la nostra mente non sarebbe pronta ad accettare questa visione apocalittica del destino dell’umanità, ma “se accettiamo una realtà fattuale (che stiamo distruggendo il pianeta) ma non siamo in grado di crederci non siamo migliori di chi nega i cambiamenti climatici.”

Secondo il neuro scienziato Sebastian Bohler, autore del best seller Le bug humain, una parte del nostro cervello con i suoi meccanismi ancestrali favorisce comportamenti distruttivi per il pianeta. In sostanza la parte più antica del nostro cervello, il cosiddetto corpo striato, continua a perseguire gli obiettivi di milioni di anni fa, attraverso il sistema della ricompensa* che, con l’attivazione della dopamina, premia a livello neurale (ricompense primarie) molti dei comportamenti che stanno alla base dei nostri stili di vita che generano un consumismo sfrenato, nell’ambito di un sistema economico ad alta emissione che alimenta il degrado ambientale. Secondo l’autore vari esperimenti scientifici con le moderne tecnologie di neuro immagine funzionale dimostrano che il corpo striato del nostro cervello continua ad avere un ruolo importante nelle nostre decisioni: “la corteccia propone, lo striato dispone”. Ed è sempre il corpo striato che preme per dare la priorità alle ricompense presenti rispetto a  quelle future, dice Bohler: “i benefici del tutto e subito ci hanno aiutato a sopravvivere su una scala temporale che facciamo fatica a immaginare. Si tratta di ere geologiche che si sono protratte per decine di milioni di anni, che hanno modellato a lungo termine le strutture di base del cervello umano… Per decine di milioni di anni gli animali con uno striato configurato per preferire le ricompense immediate sono riusciti a mantenersi in vita, mentre gli altri sono stati eliminati nel corso dell’evoluzione”. Insomma dai nostri antenati avremmo ereditato una sorta di cecità verso il futuro. Per motivi interni (psicologici, cognitivi, comportamentali) o esterni (il sistema economico e le norme sociali che condividiamo, etc.), siamo tutti dei potenziali negazionisti climatici, vittime cioè di una dissonanza cognitiva, tra le abitudini radicate e gratificanti del nostro modo di vivere e l’ansia per la minaccia ambientale. Un disagio psicologico (che attiva la corteccia cingolata** un altro artefice della nostra affermazione evolutiva) che può essere neutralizzato o minimizzando e allontanando emozionalmente il problema, con soluzioni compensative, oppure, cosa molto più difficile, modificando i nostri comportamenti. In questo caso occorre sviluppare una nuova e più profonda consapevolezza, ritrovare un “nuovo senso”, una spinta motivazionale capace di superare l’inerzia cognitiva ed emotiva, e di indurre nuovi comportamenti “virtuosi”.

In questo percorso non ci aiuta l’attuale scenario mediatico, dominato dai social, che negli ultimi anni ha prodotto un’informazione non solo pletorica, ma anche incoerente, ambigua, contraddittoria e destabilizzante, dove disinformazione, fake news e “verità emotive”, si diffondono con facilità creando uno stato di confusione, d’incertezza e di conflittualità. Non a caso si parla di era della post-verità intendendo il fenomeno per cui notizie false vengono accettate e condivise dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, pur essendo storicamente o scientificamente infondate (terrapiattisti, setta degli illuminati).

Anche sulle tematiche climatico-ambientali non mancano le posizioni negazioniste o complottiste (La grande bugia del riscaldamento globale, i complottisti di: “Chi c’è dietro Greta Thunberg?”). Si tratta spesso di tesi costruite e diffuse ad arte dai poteri economici e politici interessati allo status quo, che trovano però una sorprendente accoglienza in larghe fasce della popolazione. Come mai? Secondo Boher Le teorie del complotto sono un modo di ricreare una forma di logica intellegibile in un mondo percepito come confuso, contradditorio, opaco e troppo complesso”, per cui l’individuare dei colpevoli è un modo per recuperare a livello cognitivo una sensazione di controllo della situazione.

In una società destrutturata, sempre più liquida, precaria, globalizzata e priva di forti valori condivisi, anche il negazionismo trova una spiegazione nell’ambito dell’istintiva ricerca di senso, d’identità e di certezze che, anche se in modo frammentario, vengono illusoriamente recuperate attraverso l’appartenenza a comunità fortemente identitarie, con cui condividere codici, norme e rituali: “L’omogeneità del gruppo”, osserva Bohler, “è di grande importanza per calmare l’angoscia legata all’incertezza del ”. Insomma di fronte all’anomia della società, cioè al sentimento di una perdita di ordine e di logica, e di fronte alle inquietudini per un avvenire dominato dalle crescenti ineguaglianze socio-economiche, riemerge, rassicurante, lo spirito tribale, “il richiamo della tribù”, “annidato, con tutto il suo carico d’irrazionalismo, nelle profondità più recondite di tutti gli esseri civilizzati” (e responsabile, secondo Karl Popper, delle più grandi stragi dell’umanità). Un richiamo che purtroppo trova nei social network un terreno fertile, grazie alle dinamiche di polarizzazione delle opinioni, per cui si assiste alla proliferazione di gruppi autoreferenziali che operano come bolle isolate, camere dell’eco non comunicanti che si contrappongono con logiche tribali.

Dice in proposito il sociologo Mario Abis (3): “la trasformazione, attraverso i circuiti dell’autocomunicazione, della complessità sociale in sistemi tribali, che si chiudono anche linguisticamente in se stessi, toglie apertura e sensibilità rispetto a temi come l’ambiente che hanno nella condivisione la forza di creare la consapevolezza per affrontare il futuro non falsificato. Questa società del digitale trasforma ogni dimensione in spettacolo a cominciare dall’ambiente… qualcosa di rappresentato e non di veramente esistente, perché “altro” rispetto agli interessi della propria tribù. La società della comunicazione in questo modo occulta la vera natura sociale che è quella del rischio. L’urgenza ambientale è il paradigma di questo occultamento.”

Il Covid e i confinamenti hanno messo drammaticamente a nudo la fragilità del nostro pianeta e l’insostenibilità degli attuali modelli di crescita economica, e hanno creato la sensazione che le cose non saranno più come prima, che occorre un cambiamento, un nuovo inizio, una rinascita, ma per trasformare questo sentimento in efficace azione individuale e collettiva occorre che l’ecologia dell’ambiente sia accompagnata da un’ecologia della mente, perché il primo nemico da affrontare è quel piccolo e “primitivo” negazionista che agisce nel nostro inconscio e che, di fatto, contribuisce all’occultamento dell’urgenza ambientale.

* Sistema di ricompensa è gruppo di strutture neurali responsabili della motivazione, dell’apprendimento associativo e delle emozioni positive, in particolare quelle che coinvolgono il piacere: gioia, euforia ed estasi. (Wikipedia)

** Corteccia cingolata è la sede della corteccia cerebrale dove vengono elaborati, a livello inconscio, i pericoli e i problemi cui un individuo è soggetto nel normale decorso delle sue esperienze, una sosta di sistema di allarme silenzioso. (Wikipedia)

  • Jonathan Safran Foer – Possiamo salvare il mondo prima di cena – Guanda
  • Sebastian Bohler – Le Bug Humain e Où est le sens – Robert Laffont
  • Mario Abis – sociologo e docente allo IULM facoltà di comunicazione
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