lunedì, 18 Novembre, 2024
Politica

Giustizia, libero mandato parlamentare e legittimo impedimento

I tre poteri dello Stato, il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario in questa legislatura stanno mettendo in luce sempre di più atavici conflitti – attualizzati – proprio in un momento in cui è, invece, piuttosto necessaria la massima concordia ed unità di intendi, non fosse altro per l’elevato prezzo che l’intera collettività nazionale sta pagando per la pandemia da COVID-19.

Nella nostra Carta costituzionale il potere legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario sono la base della democrazia e proprio con i famosi “pesi e contrappesi” al loro interno, dovrebbero garantirne il giusto equilibrio ed i principi di libertà democratica.

Nel libro “La toga di paglia” di Anton Giulio Loprete, sottotitolo “Come la crisi della magistratura italiana contribuisce alla fine della prima repubblica”, nell’introduzione è detto che:

“La Costituzione di una Repubblica è in pratica la sottoscrizione di un patto sociale e l’indicazione di un programma di sviluppo di una comunità legato a determinati principi ispiratori di quel patto. Quando è stata costituita la nostra Repubblica i principi che la ispiravano erano la lotta al fascismo, non solo come regime politico ma anche come forma di degenerazione politica, la considerazione del lavoro del cittadino come ragione e finalità del patto, la salvaguardia dei diritti naturali dell’uomo e di quelli fondamentali del cittadino anche nei riguardi dello Stato che si andava a costituire. Ma un regime liberticida ed autoritario non si trasforma in una democrazia con un referendum perché la struttura del Paese resta per molto tempo condizionata nel suo sviluppo civile, e al disimpegno e all’obbedienza non è facile sostituire la partecipazione, il dissenso, il confronto necessari a far vivere una democrazia.”

Il libro è stato pubblicato nell’ottobre del 1981 esattamente quaranta anni or sono, la nostra Costituzione ha festeggiato i suoi 73 anni il primo gennaio scorso e quanto affermato dall’autore sembra appartenga ai giorni nostri, in considerazione degli attuali rapporti non idilliaci tra i suddetti tre poteri che dovrebbero garantire ed assicurare armonia, sviluppo, giustizia e benessere economico e psicofisico all’intera collettività nazionale.

Prosegue l’autore con una osservazione molto interessante quando dice che: “Andare avanti non significa però sempre progredire, e molte speranze sono andate deluse cosi come vecchi pregiudizi sono rimasti indomati a dispetto dei programmi di crescita civile del patto sociale.

Una delle speranze maggiormente deluse è stata certamente quella di una giustizia che fosse degna di uno Stato di diritto, una giustizia “certa” che non consentisse smagliature o libertà di interpretazione delle leggi e quindi supplenze agli altri poteri dello Stato e connivenze e complicità con le malefatte degli altri poteri dello Stato.”

I tre poteri devono darsi reciproca assistenza per un fine comune, salvaguardando i principi fondamentali dello Stato di diritto sanciti nei primi 12 articoli della Costituzione, nonché nei successivi articoli da 13 a 28, riguardanti i “diritti e doveri dei cittadini”, nei rapporti politici (artt. 48-54) e negli articoli 55-69 riguardanti “Il Parlamento”.

È inconfutabile che la sovranità appartiene al popolo, esercitata col suo diritto di voto, secondo le norme elettorali vigenti, ma questo principio è saldamente legato a quanto afferma l’articolo 67  e cioè che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”

Le diatribe di questi giorni con le sistematiche sollecitazioni a nuove elezioni, con la conta in Parlamento sul sostegno al Governo in carica, contornate da tutti quei retroscena prima, durante e dopo, dimostrano quanto prevalgano gli interessi dei partiti e personali rispetto agli attuali problemi del Paese.

Si reclama una giustizia non ad orologeria, una ragionevole durata del processo, non politicizzata e poi si ricorre, anche con frequenza, al legittimo impedimento ed a interventi per condizionare   nomine di cariche giudiziarie.

Altre volte, nelle circostanze di processi e nelle immediate vicinanze, si organizzano convegni, conferenze e manifestazioni.

Sono stati e sono tutt’ora persistenti i tentativi del potere legislativo di voler condizionare l’ordine giudiziario, di subordinarlo all’esecutivo e di dividerne le carriere tra pubblici ministeri e giudici. Questo intendo è maggiormente sentito ed evidenziato ogni qualvolta inchieste giudiziarie coinvolgono, a vario titolo, personaggi della politica, per cui si contesta l’utilizzo di strumenti di indagine che per principio violano la privacy, l’uso eccessivo di provvedimenti cautelari ed il vigente blocco della prescrizione della quale molti parlamentari in passato hanno beneficiato, in contrasto col principio della certezza della pena.

Nel citato libro “La toga di paglia” c’è altra osservazione meritevole di essere riportata e che così recita: “All’interno della “questione giudiziaria” non sono mancate voci critiche e movimenti riformatori, che credevano nell’elementare principio che se si vuole vivere in uno Stato libero e in una democrazia parlamentare e pluralistica occorre assicurare la sicurezza che determinati comportamenti saranno sempre oggetto della stessa sanzione, e la identificazione preventiva sia di quali comportamenti prevedano una sanzione sia di quali siano le sanzioni.”

In occasione di nuove innovazioni tecnologiche e nel settore dell’informatica ci si rende conto che, nonostante vi sia una Autorità Garante per la privacy, siamo sempre più monitorati, sorvegliati ma anche tempestivamente informati di questioni pubbliche e private.

La pandemia da coronavirus-19 e le esigenze di interventi tempestivi per la tutela della salute e per la rapida elargizione di risorse in denaro od in natura, ne hanno dimostrato il grande vantaggio.

La libertà si può tutelare e salvaguardare con la sua compressione se non abbiamo nulla da nascondere. La giustizia, infatti, è amministrata “in nome del popolo italiano”; il giudice è soggetto soltanto alla legge ed i parlamentari, al di fuori delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, hanno il dovere di fedeltà alla Repubblica, di svolgere il loro mandato con disciplina ed onore a cui si aggiunge, per i Ministri, anche il giuramento.

Ne consegue che i Ministri non dipendono dai Capi dei Partiti o dalle segreterie, ma sono autonomi ed indipendenti per le decisioni nell’ambito dei rispettivi ministeri e ne rispondono singolarmente o collegialmente del loro operato. Non possono, quindi, essere tirati per la cravatta o per la giacca del tailleur.

Le carte bollate, sempre più invocate ed utilizzate per conflitti tra Governo e Regioni, dovrebbero esserne l’estrema ratio.

In momenti difficili, delicati e spinosi è importante che ciascun parlamentare e persona di governo svolgano con senso di responsabilità ed esclusivo interesse collettivo il loro mandato, ruolo o funzione, rispettando tutti i principi costituzionali.

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