Un Paese come l’Italia leader nel mondo per la qualità manifatturiera che ha difficoltà nel trovare personale tecnico. Il problema nasce dalla scuola, come orientamento professionale e dalla formazione carente su aree tecnologiche Temi su cui si concentra la ricerca del Centro studi di Confindustria.
“L’istruzione secondaria superiore a orientamento professionalizzante”, si sottolinea nella relazione, “è finalizzata a trasmettere conoscenze teoriche e a sviluppare abilità pratiche tali da forgiare un diplomato in uscita con competenze specifiche e quindi con sbocchi professionali ben identificabili”.
Lo studio di Confindustria prende le mosse dalla European Vocational Skills Week, Eurostat ha pubblicato una mappatura della diffusione del “vocational”, – ossia lo studio di materie professionali per settore industria e artigianato; per servizi; per settore economico e tecnologico -, nelle regioni europee: la quota più alta 76% si registra nella regione di Severozápad (Rep. Ceca), più di 4 volte superiore rispetto a Cipro la cui quota è la più bassa (17%).
“Partendo dai dati regionali”, il Centro studi, “ha investigato il legame tra intensità del vocational e la vocazione manifatturiera del territorio: le evidenze empiriche mostrano che le regioni europee a più alta specializzazione manifatturiera mostrano al contempo un’elevata quota di studenti iscritti all’istruzione professionalizzante”. In Italia spicca la posizione di Veneto, Marche, Emilia Romagna, Friuli e Piemonte per l’elevato valore sia della intensità manifatturiera sia del vocational.
La stessa analisi replicata sulle province italiane conferma l’esistenza di questo tipo di legame, per cui la scelta del percorso di studio appare piuttosto allineata con la vocazione produttiva dei territori, con Vicenza, Belluno e Treviso nel quadrante in alto.
“I dati distinti per genere”. Si fa presente nello studio di Confindustria, “ci dicono che l’intensità del vocational può essere accresciuta cercando di colmare il differenziale tra donne (41%) e uomini (65%) amplificati da retaggi culturali che vincolano le scelte femminili verso percorsi di studio generalisti anche per i pregiudizi sulla qualità degli istituti tecnici e professionali”.
La carenza di profili tecnici formati nei canali VET, che frena la crescita industriale dell’Italia, può essere affrontata su tre piani distinti rispetto ai livelli di istruzione, ma tra loro collegati: “orientamento, alternanza scuola-lavoro e filiera terziaria professionalizzante. È prioritario dare una prospettiva agli attuali canali VET, costruendo un sistema effettivo di “Higher-VET”, che in Italia è ancora a uno stadio embrionale, partendo dal rafforzamento del sistema ITS (istituti tecnici superiori)”.