Dietro la maschera simpatica, elegante, colta, amica dell’Italia, indossata dalla presidente Ursula von der Leyen (tutti ricordano la famosa frase “siamo tutti italiani”, quando sembrava che la pandemia colpisse solo noi), e ultima chicca, in occasione dell’apertura della Bocconi (“Milano, città resiliente e bellissima, parlando pure in dialetto: “Milan l’en un gran Milan”), c’è la vera natura. Sua e di questa Europa. Ruffiana quando serve, spietata quando serve.
Basta decodificare le sue parole. Da una parte, come da mantra comune di ogni forza di centro-sinistra italiana e continentale, sventola i soldi salvifici (209 miliardi) che ci faranno rialzare, dall’economia alla società, insistendo sul cambio di rotta solidale assunto dalla Ue, sua gestione, dopo decenni di rigorismo.
Soldi che come noto, arriveranno con molto ritardo. Dall’altra, pone, anzi ribadisce lessicalmente, delle condizioni-capestro perché questi finanziamenti arrivino.
Condizioni ideologiche. Esaminiamole con tanto di sottotitoli per farci capire. La presidente dice: “Next Generation Eu porterà un’ondata di investimenti pubblici senza precedenti per l’economia”. Il termine usato non è finanziamento, ma investimenti. Che vuol dire altre cose: soldi in prestito (li rimborseremo con le tasse?), e finanziamenti, dentro uno schema. Soldi quindi, non liberi.
Continuando, la presidente arriva al punto: “Tutto questo se l’Italia entra in gioco”.
Approfondiamo l’entrata in gioco. C’è il sospetto che Bruxelles decida la partita, le squadre e scelga pure il pallone.
Dopo l’ulteriore sviolinata melensa nei nostri confronti, “siete un paese di innovatori, che è stato capace di ripensare le tradizioni, l’artigianato, l’industria e perfino la cucina (giusto un appunto: ripensare, significa cambiare)”, indirizza: “Le riforme sono le basi per la ripresa” (il ripensamento, necessita un cambio, siete bravi italiani, ma dovete cambiare); e aggiunge: “Solo con le giuste riforme l’Italia può garantire che Next Generation Eu, risponda alle aspettative dei suoi cittadini”.
La maschera è tolta: ripensamento, giuste riforme, e per di più, sceglie Bruxelles quali siano le aspettative dei cittadini.
La lista della spesa della Von der Leyen, infatti, è verso una direzione politica ben precisa. Un modello che vale per tutti i paesi membri che devono uniformarsi al governo continentale dell’economia: “Sistema giudiziario, pubblica amministrazione, modernizzazione dello Stato”. Presupposti per attrarre investimenti e infondere la fiducia negli amministrati” (il dio-mercato).
E poi seppellisce definitivamente la maschera con la parte dedicata agli investimenti “strategici”. Naturalmente “suggeriti”: “Transizione green, digitalizzazione, intelligenza artificiale”. Ecco, la società europea del futuro.
Smart working totale, scomparsa dei luoghi fisici (relazione, polis, comunità, aziende, fabbriche, piccole e medie imprese, artigiani, singoli professionisti, partite Iva), scomparsa delle sovranità nazionali, Stato unico, meglio se etico-sanitario. Un perimetro militare che spiega per logica, i vincoli del Recovery(l’adesione allo “stato di diritto europeo”, che Ungheria e Polonia considerano adesione all’Europa arcobaleno), e del Mes, la sostenibilità del debito dei paesi. Lacci che conducono alla medesima strada: l’omologazione.
E stando così le cose, Conte che fa? Pensa bene di riproporre al posto del rimpasto politico, un rimpasto tecnico: una nuova task force (Modello Stati generali, modello-Colao), di 300 esperti, che dovranno affiancare 6 manager responsabili, che a loro volta, affiancheranno la piramide governativa, alias comitato tecnico, composto dai ministri Amendola, Gualtieri, e lo stesso Conte.
Per definire progetti concreti, per le riforme giuste sollecitate dalla presidente della Commissione.
Finora il governo ha lavorato a vuoto, progetti generici e in alto mare. Ma i magnifici 300 garantiranno velocità e contenuti.
Come la squadra di Colao. Parole.
(Lo_Speciale)