venerdì, 15 Novembre, 2024
Sanità

“Logistica e vaccino anti-COVID: la sfida più grande”

Luca Lanini, Professore di Logistica e Supply Chain Management, Università Cattolica, Master SCHMIDT
e Master MEGSI. Membro del Comitato Scientifico del Freight Leaders Council.

Siamo a metà novembre 2020 e da pochi giorni (9 novembre) è stato annunciato il nuovo vaccino anti Covid da parte della Pfizer, multinazionale americana del farmaco, in collaborazione con il laboratorio tedesco di BioNTech. Dato importante per le nostre riflessioni, si tratta di un vaccino che dovrà essere somministrato in due dosi a distanza di venti giorni. Altri vaccini sono alla sperimentazione finale, almeno undici ormai nella cosiddetta fase III (AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sanofi e quello di Moderna che prevede invece uno stoccaggio “solo” a -20°C) ma intanto sono partiti gli ordinativi a livello mondiale per questo che la Pfizer ha confermato abbia un’efficacia oltre il 90%, che però ha una caratteristica specifica: deve essere conservato a -70°C e comunque nell’intervallo fra -70 e -80 gradi Celsius (pari a circa 200 gradi Kelvin). Qui casca l’asino, perché il problema si sposta tutta sulla corretta gestione della catena del freddo lungo tutta la filiera (che più correttamente chiamiamo Supply Chain) dalla produzione alla distribuzione finale, fino alla somministrazione ai pazienti. Ed è su questo che discuterò. Capisco dalle letture di queste ore che non tutti i vaccini necessiteranno di queste temperature ultra basse, ma intanto così è il caso anche per quello in corso di sperimentazione di AstraZeneca-Irbm-Oxford. Il motivo, leggo, è legato alla scelta di lavorare sulla molecola RNA che, trasportata da una nanoparticella lipidica (Lnp), farà da messaggero facendo produrre alle nostre cellule una proteina componente del coronavirus Sars-cov-2 in grado finalmente di innescare la risposta immunitaria contro di esso prima ancora di una eventuale infezione. Il bello è che tutti questi vaccini basati sull’RNA necessitano di una temperatura di -70°C, a differenza invece dei vaccini basati su virus inattivi, su virus simili oppure sul DNA, dove la temperatura richiesta varia fra 2°C e 8°C. Torniamo alla logistica. È comprensibile che, per ragioni ovvie, da quattro giorni (solo quattro giorni…) nel Mondo non si discuta d’altro e che ormai si parli, e si legga, che la consegna dei vaccini in quantità enormi ed in tempi strettissimi rappresenterà la più grande sfida logistica a cui la Storia abbia mai assistito. In queste ultime ore molti commenti tecnici di operatori della logistica o di esperti di tecnologie del freddo, intervistati (con un beffardo gioco di parole) “a freddo” dalla stampa, hanno segnalato le difficoltà oggettive della logistica, non solo legate alla tecnologie o alla gestione dei singoli “nodi” della rete logistica e di trasporto, ma anche alla gestione della supply chain e soprattutto alla gestione delle consegne nel cosiddetto ultimo miglio, quello cioè che riguarda la distribuzione del vaccino al luogo della sua somministrazione al paziente. È notizia di domenica 15 mattina che il commissario governativo Arcuri minimizza il ruolo della logistica, dicendo che è tutto sotto controllo. Ma è chiaro che fra il richiamo alla “sfida delle sfide” e l’indicazione “OK tutto a posto” ci deve essere uno spazio di riflessione più accurato che provo a fare.

  • La prima cosa da dire è che i primi ad aver studiato l’impatto del vaccino a -70°C sulla logistica sono stati i tedeschi della DHL, gruppo DEUTSCHE POST, che insieme a McKinsey hanno pubblicato un white paper a settembre 2020 (“Delivering pandemic resilience: how to secure stable supply chains for vaccines and medical goods during the covid-19 crisis and future health emergencies” DHL 2020, sept). Sull’onda di questo studio, gli altri grandi players mondiali della logistica espresso (FedEX e UPS) stanno lavorando per istallare aree logistiche refrigerate a -70°C presso i loro aeroporti HUB di riferimento (UPS sta investendo in Kentucky e Olanda mentre DHL lo sta facendo nel suo cargo Hub di Francoforte).
  • La seconda cosa da dire è che solo 48 ore fa (venerdì 13 dicembre) il gruppo PFIZER ha fornito dati preziosi condividendo con il Mondo la sua idea di trasporto delle dosi e di gestione della catena logistica.

Il lavoro della DHL è prezioso perché è strategico, di visione ed affronta il tema nella corretta ottica della gestione supply chain, lavorando ad ogni suo anello: dal primo trasporto dal laboratorio di produzione ai diversi HUB nazionali, con la prima fase di stoccaggio, il rilancio verso piattaforme di transito regionali fino al delivery dell’ultimo miglio con la consegna ai luoghi di somministrazione medica. Il ruolo della pianificazione è strategico per la logistica, purché ci siano dati corretti a disposizione. Ecco che DHL stima una preparazione mondiale di 10 miliardi di dosi, trasportati con 200 mila pallet, prevedendo l’utilizzo in due anni di 15 mila aerei cargo e 15 milioni di cooling boxes ossia di contenitori refrigerati, su cui ritorneremo. Se questi sono i dati, facciamo due conti e stimiamo l’impatto per l’Italia. Con i dati DHL arriviamo a stimare quindi 50 mila dosi di vaccino a pallet: i conti tornano se usiamo 80 scatole box (30x40x20cm) per pallet con 600 dosi per ogni scatola (con un flacone di 40cm3) che ci portano ai 15-17 milioni di box refrigerati proposti nello studio. Facendo i conti per l’Italia e per i suoi 40 milioni di dosi necessarie nella prima fase arriviamo a stimare oltre 800 pallet ma, soprattutto, da 65 a 70 mila box da consegnare, ognuno dei quali ripeto contiene 600 dosi. Ci immaginiamo una consegna all’Italia in diciamo quattro mesi, cosa che schematicamente produce queste prime banali e semplici stime approssimate, schematizzate di seguito:

16-18 mila box al mese X 4 mesi
4 mila box a settimana
550 BOX al giorno X 4 mesi
330 mila flaconi al giorno X 4 mesi

Quindi ogni giorno devono arrivare 550 box refrigerati in ogni angolo d’Italia con 330 mila dosi per 4 mesi. In un’ottica logistica, si possono immaginare i 4 step citati sopra: il volo aereo, il trasporto verso l’HUB di stoccaggio, il trasporto verso un transit point di smistamento, la consegna finale al punto di vaccinazione. Ovviamente il modello può strutturarsi in modi diversi ma è su questo scenario che ha lavorato DHL mentre, come vedremo tra poco, il progetto PFIZER ha proposto poche ore fa tutt’altro scenario ed un altro accorgimento tecnico. Facciamo una semplificazione, partendo da un approvvigionamento settimanale di vaccino da un aeroporto di partenza all’HUB Cargo di Milano Malpensa (Giovanni Costantini DG di Malpensa Cargo ha dichiarato pochi giorni di lavorare su questa idea).

  • Arrivo di circa 50 pallet a settimana per 4 mesi, con approvvigionamento bisettimanale o giornaliero (7 pallet/giorno).
  • Ipotizziamo un’area refrigerata nell’HUB di circa 15-20 metri cubi a meno 80).
  • Si possono stimare consegne settimanali a 100 HUB italiani (presso operatori logistici, centri ospedalieri, centri logistici vari) per poi da qui proseguire con consegne giornaliere dagli HUB ai reparti medici o centri sanitari. Qui il modello DHL prevede la costituzione di 60 punti di arrivo e smistamento dei vaccini.
  • Parliamo di circa 4 mila scatole a settimana per 4 mesi ( provenienti da 50 pallet, 80 scatole per pallet, ma a questo punto viaggiano solo le scatole), ossia circa 400 scatole in arrivo ogni settimana ai 100 HUB (corrispondenti ad originari 5 pallet completi).
  • Negli HUB il volume di stoccaggio a -80°C necessario può essere stimato in 15 metri cubi.
  • Arriviamo infine alle consegne giornaliere dagli HUB ai reparti medici o centri sanitari di vaccinazione, provandone a stimare il numero in circa 20 per ogni HUB di riferimento (un totale quindi di 2.000 punti di vaccinazione totali in Italia.
  • Arriviamo infine a stimare circa 3 scatole al giorno per ognuno dei 2.000 punti di destino finale, ossia circa 1800 fiale al giorno. Le tre scatole giornaliere cuberebbero per 72 dm3, serve quindi per ogni punto di vaccinazione un box di circa 45x35x65cm, ossia circa 0,10 metri cubi (o 100 dm3).

Non abbiamo parlato di tecnologie del freddo e in questo campo le possibilità sono tre, con diversi gradi di applicabilità. La refrigerazione attiva dei REEFER container è particolarmente diffusa nel Mondo, i container marittimi viaggiano normalmente a -25°C quando serve, mentre il nostro pesce verso il Giappone viaggia a -56°C sapendo che si può “spingere” il motore anche ben oltre. Ma diventa difficile applicare questa tecnologia lungo tutta questa supply chain anche per i limiti dovuti alla sua alimentazione elettrica. Le altre due modalità si chiamano GHIACCIO SECCO e AZOTO LIQUIDO. Il ghiaccio secco (ossia diossido di carbonio solidificato) è molto usato, non si scioglie ma “sublima” (ossia evapora) a -78°C, comporta qualche rischio nella manipolazione e nel trasporto soprattutto aereo (la sublimazione è molto rischiosa per l’equipaggio), lo sanno bene gli operatori citati prima (FedEx, Dhl e Ups) e soprattutto FedEx che sta già chiedendo le liberatorie alla AIATA per questo trasporto a bordo dei propri Boeing 767 e 777, proprio in vista del boom dei vaccini prossimo venturo. L’Azoto liquido invece è potente, poco costoso, arriva ad “ebollizione” (cioè passa allo stato gassoso) a 77 gradi Kelvin pari a -196°C. È molto usato, sicuro e particolarmente diffuso in Pianura Padana negli allevamenti animali per la conservazione del seme di toro. Io, che non sono certo un esperto di questo aspetto, lo considero il migliore per il nostro caso dei vaccini ma vedo invece che il progetto PFIZER propende invece per il ghiaccio secco; ci sarà sicuramente un perché che verificheremo presto. Fin qui ho illustrato le riflessioni intorno ad un modello di distribuzione del vaccino che prende spunto dalle analisi di DHL e prova a fare delle stime ed alcune ipotesi. Le novità delle ultime 48 ore, dicevo, e la presentazione del “Progetto di distribuzione” da parte di PFIZER introduce elementi nuovi che, se applicati, cambiano in modo significativo questo schema metodologico. O forse no? Diciamo che la novità principale proposta da PFIZER riguarda la sua disponibilità ad offrire direttamente lei un “cooling box” adatto a questo trasporto, immaginando che questo box arrivi poi direttamente al punto di vaccinazione senza soste intermedie e senza altre operazioni. PFIZER addirittura va oltre e raccomanda alle unità ospedaliere di “non comprare NULLA”! Posto che tutto ciò avrà pure un costo, è in questo senso che va letto l’ottimismo di oggi del commissario Domenico Arcuri quando parla di risoluzione alla fonte dei problemi logistici. Ma è proprio così ?Vediamo intanto di cosa parliamo : PFIZER è pronta a produrre e distribuire 50 milioni di dosi entro il 2020 e 1,3 miliardi nel corso del 2021. Sono già fioccate le prenotazioni (100 milioni per gli USA, 200 dalla UE, 120 dal Giappone, 40 milioni sono appunto le dosi richieste dall’Italia). Il modello PFIZER prevede la distribuzione via aereo e via camion dalle sue due sedi produttive di Kalamazoo (Michigan) e di Puurs in Belgio (6 camion e 20 voli al giorno sono le stime aziendali per il solo laboratorio americano). PFIZER stima in 7,6 milioni le dosi giornaliere di vaccino che saranno inviate nel Mondo.

La novità principale riguarda il cooling box che PFIZER ci proporrà : un box di 40x40cm di altezza 56cm, alimentato a ghiaccio secco, con capacità di 975 flaconi di 5 dosi ciascuno, per un totale di 4.875 dosi per ogni box (parliamo di circa 90 dm3, ossia quasi il triplo della scatola calcolata sui dati DHL), da aprire solo un paio di volte al giorno lungo la catena di consegna e con la conferma di una durata di vita del vaccino stesso, in questi box, di NON PIU’ di due settimane. Dopodiché serviranno celle di congelamento più grandi ad alimentazione elettrica sempre a -70°C/-80°C, che hanno costi assai elevati. Confermo quindi che il tema della catena del freddo resta tutt’altro che gestito e definito! Stiamo quindi parlando, per il vaccino PFIZER, di 1.500 box (ossia 7,6 milioni di dosi) da spedire ogni giorno dai suoi due laboratori. Tornando al caso italiano con i suoi 40 milioni di dosi, e stimando la solita consegna in quattro mesi, possiamo stimare il fabbisogno italiano di vaccini in termini di unità di trasporto logistico, ossia il BOX della PFIZER:

  • 40 milioni di dosi, diviso per 4.785 dosi per BOX, ossia 8.500 box totale Italia.
  • Pari a circa 70 box in distribuzione ogni giorno in Italia (pensando a 120 giorni) oppure a 100box/giorno sull’orizzonte di circa tre mesi.

Il modello distributivo “proposto” da PFIZER (ripeto, proposto) concerne la consegna finale a grandi centri di vaccinazione ricordando che la durata di vita del vaccino in questi box è di due settimane, poi si deve passare a container refrigerati più grandi ed alimentati in elettrico di cui però ancora non abbiamo grandi disponibilità (Il costo di questo super box è stato stimato da PFIZER in 5 mila dollari). In conclusione, la mia proposta è trovare da 70 a 100 punti di consegna finali presso ospedali, centri ospedalieri, in cui gestire le vaccinazioni. La Germania, ripeto, ha stimato questo numero di super centri di vaccinazione nella misura di 60, arrivando a prevedere anche centri mobili da campo. L’idea del commissario Arcuri di queste ore di stimare in numero di mille i punti di consegna è meno fattibile: in primis perché lui non ha tenuto conto dell’unità di misura della spedizione PFIZER (ossia un box da 4785 dosi) e questo ne impedisce l’invio a ognuno dei mille punti di vaccinazione da lui previsti. secondariamente perché l’invio a mille punti di arrivo prevedrebbe in realtà una “rottura di carico” del box refrigerato ed un successivo reinvio di dosi in numero minore ma in altrettanti box più piccoli: più complicato e più costoso, a mio parere. Se scegliamo il modello PFIZER ed il suo box refrigerato di 40x40x56cm dobbiamo adattare la logistica di conseguenza. Poi i problemi esploderanno ulteriormente in presenza di altri vaccini. Come sempre è anche un problema di costi e se il settore trova le condizioni di remunerazione sufficienti per fare investimenti in tecnologia del freddo ed in box refrigerati a -70°C non mancano certo in Italia né altrove le competenze e la capacità del settore logistico ad adeguarsi all’evoluzione. Certo è che serve un coordinamento, una pianificazione, una sinergia con tutti gli altri aspetti che qui non ho toccato, primo fra tutti la security da implementare per questi trasporti, perché è un reale tema di sicurezza nazionale. La conclusione è un pensiero a chi non ce la farà di sicuro, in assenza di altro. Cioè ai Paesi poveri. Perché il dilemma è sempre sullo squilibrio fra ricchi e poveri. È certo che questo vaccino porterà ad un rafforzamento della divisione fra questi due mondi, perché i paesi poveri non avranno certo facilità a distribuire in due settimane il vaccino e quindi ancor meno possibilità di stoccare grandi quantità di vaccino dopo i 15 giorni, visto gli elevati costi dei congelatori a queste temperature. Anche questo aspetto va tenuto sempre presente e mai dimenticato.

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