domenica, 22 Dicembre, 2024
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Cina e Mercati Emergenti: temi chiave d’investimento con e senza i filtri delle Presidenziali

In queste ore si sta consumando una delle battaglie presidenziali più controverse e “accese” della storia degli Stati Uniti, dove una vittoria di Biden sembra ormai quasi certa, anche se, scusandomi per il gioco di parole, mai come in questo caso “mai dire mai”.

Gran parte degli analisti concordano sul fatto che, indipendentemente dal risultato del voto, la prossima amministrazione Americana dovrebbe varare già nel primo trimestre un piano di stimoli fiscali importante. Gli aiuti saranno inferiori rispetto allo scenario di una Blue Wave, ma a bilanciare questo aspetto ci sarà una compagine di Governo più centrista e meno incline ad aumentare le tasse e inasprire la regolamentazione. 

La storia recente dimostra che non è saggio cercare di prevedere i risultati degli appuntamenti elettorali. L’elezione di Trump (2016), il referendum su Brexit (2016) e le elezioni Italiane (2018) sono tre esempi di come gli esiti elettorali possano largamente sorprendere anche gli analisti più attenti. 

Come abbiamo visto, appena dopo la chiusura dei seggi, Trump sembrava essere nuovamente riuscito a sovvertire il pronostico; poi, con il proseguire delle operazioni di spoglio e lo scrutinio di un numero crescente di voti via posta (opzione più utilizzata dai Democratici), le quotazioni di Biden sono progressivamente aumentate e la sua vittoria appare ora sempre più probabile.

Secondo Fabio Fois, Responsabile Investment Research di Anima Sgr, “nel breve periodo non ci sono grandi differenze tra uno scenario che vede Biden conquistare la Casa Bianca (con o senza il passaggio del Senato ai Democratici) ed una situazione di status quo, in cui Trump si conferma Presidente e i Repubblicani mantengono il controllo del Senato. Chiunque vincerà le elezioni, sarà costretto ad annunciare uno stimolo fiscale che aiuti a sostenere la ripresa già nel prossimo trimestre.”

 L’esito delle presidenziali come potrà influire sugli indici dei principali parsi emergenti e sulla loro presenza nei portafogli degli investitori?

Iniziamo con dei distinguo.

Il primo punto da tenere in considerazione è che gli investimenti in Cina, anche da parte dei grandi colossi finanziari statunitensi, sono proseguiti al di là della guerra commerciale. Facciamo un esempio. Come riportato da Formiche.net, il gigante finanziario Vanguard Group sposterà le sue operazioni in Asia da Hong Kong e Tokyo a Shanghai. La decisione del fondo d’investimento Usa, rivelata a fine agosto da Caixin, va controcorrente rispetto alle politiche dell’amministrazione Trump, che non esclude un “decoupling” (disaccoppiamento) dell’economia degli Stati Uniti da quella cinese. Vanguard Group gestisce fondi per un valore di 6.200 miliardi di dollari (oltre tre volte il Pil dell’Italia, ndr). Un portavoce della società ha spiegato che lo spostamento è dettato dalla volontà di puntare sul mercato cinese.

Come riportato dalla casa di investimento internazionale Invesco Sgr, da anni presente sia in Cina che negli Usa, in un sondaggio condotto nell’estate 2019, l’Economist Intelligence Unit si è rivolta a investitori istituzionali e privati a livello globale per comprendere quali settori trovassero di maggiore interesse in Cina. Il settore tecnologico è stato citato nel 58% dei casi, conquistando la prima posizione davanti ai servizi finanziari o sanitari. Nonostante in quel periodo fossimo già in uno stadio avanzato della guerra commerciale tra i due colossi, gran parte degli intervistati continuava a prevedere di aumentare la propria esposizione verso l’economia cinese. Da allora, i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Cina sono diventati sempre più conflittuali, fino allo scenario di una possibile “separazione”, che metterebbe seriamente a repentaglio la relazione che per anni ha dato impulso ai mercati azionari internazionali. Mentre l’effetto politico di queste controversie si concretizza in una polarizzazione e le implicazioni immediate per le imprese attive a livello globale potrebbero essere destabilizzanti, l’equilibrio tra rischio e rendimento dal punto di vista degli investimenti assume toni tutti da studiare.

 Uno dei grandi vantaggi della Cina? Per prima cosa i consumi interni. Grazie alle impressionati dimensioni del mercato interno, numerose aziende cinesi non hanno dovuto guardare oltre confine per crescere. Come riportato da Invesco, “L’economia digitale è un ottimo esempio di come le aziende cinesi del settore tecnologico abbiano scavalcato le controparti straniere grazie all’innovazione del mercato locale. Tramite lo sviluppo di “super applicazioni” e di interi ecosistemi commerciali contenuti in un’unica piattaforma, aziende come Alibaba hanno registrato una crescita esponenziale. L’azienda detiene attualmente il 56% del mercato cinese dell’e-commerce, una quota superiore a quella di Amazon nel mercato statunitense, e ha respinto senza alcuna difficoltà la concorrenza a livello locale da parte della rivale statunitense eBay.3 La sconfitta di eBay in Cina è stata talmente radicale che digitando “eBay in Cina”, il motore di ricerca di Google completa in maniera automatica la frase con “Il fallimento di”.

Dopo il crollo causato dallo scoppio della pandemia in gennaio, le borse cinesi hanno recuperato e aumentato il loro valore, superando la media dei listini mondiali. La creazione di due listini tecnologici sul modello del Nasdaq di New York – Star Market a Shanghai e ChinaNext a Shenzhen – rendono il mercato azionario cinese ancora più interessante.

“Le aziende cinesi sono state in grado di costruire e rafforzare le proprie capacità grazie alle dimensioni del mercato interno e al fatto di essere state in qualche modo isolate dalle pressioni della concorrenza”, ha dichiarato Piatkowski, senior economist presso la World Bank di Beijing. “La Cina è leader globale in alcuni settori che potrebbero essere meno colpiti dai cambiamenti geopolitici: l’economia digitale, la logistica e le attrezzature mediche”.

Come potrebbe evolvere il rapporto tra Cina e Usa con una vittoria (molto probabile, a questo punto) di Biden? Secondo Fraser Lundie, Head of Credit per la divisione internazionale di Federated Hermes, “L’approccio di Biden nelle relazioni con la Cina avrebbe probabilmente un indirizzo più multilaterale e meno impulsivo. Nel medio periodo, ciò rappresenterebbe probabilmente un supporto per il commercio globale e ridurrebbe l’incertezza, consentendo una capex a lungo termine legata alla crescita globale e l’ottimizzazione della supply chain per dare un’accelerazione alle prospettive di crescita di lungo periodo. Biden sarebbe probabilmente molto meno ben predisposto nei confronti del settore dell’energia. Si è espresso a favore della limitazione del fracking sui terreni federali. Mentre è indubbiamente negativo per i player attivi nello spazio dell’E&P (esplorazione e produzione), gli sforzi per rallentare il fracking sui terreni federali potrebbero rimanere impantanati sul fronte delle controversie legali. Tuttavia l’offerta potrebbe essere incrementata attraverso un accordo con l’Iran, esercitando così una pressione al ribasso sui prezzi.”

La Cina come tema presente nel portafoglio degli investitori? Quasi tutti i grandi gestori internazionali sono concordi nel ritenere che sia un “must have”, sempre in linea con il profilo di rischio di ogni singolo cliente e con la consapevolezza dei rischi e delle opportunità che si deve avere prima di intraprendere un investimento. Non avere la Cina nel portafoglio equivarrebbe per molti a chiudere gli occhi e non voler vedere dove passa la produzione mondiale. E non solo. 

Ed i mercati emergenti? L’importanza della valutazione della stabilità politica.

Nell’anno del Covid-19, la performance del credito emergente è stata più solida del previsto. Sia gli indici corporate che sovrani hanno ottenuto rendimenti positivi da inizio 2020. E da qui in avanti, l’elemento chiave di differenziazione tra i vari Paesi emergenti saranno i meccanismi che verranno adottati per affrontare la situazione, vale a dire, la qualità delle politiche e la capacità di gestire le sfide fiscali nel prossimo anno.

“Mai sprecare una buona crisi”.

Polina Kurdyavko, Head of Emerging Market Debt di BlueBay Asset Management, lo afferma citando la famosa frase attribuita a Winston Churchill secondo cui “non bisogna sprecare mai una buona crisi”. Secondo l’analista, l’esperienza del Covid-19 sembra variare molto tra le economie sviluppate ed emergenti. Sia economie sviluppate che emergenti hanno risposto in maniera tonica a quanto accaduto nei primi mesi di questo 2020 ma, mentre per alcuni è stata una crisi molto sentita, per altri, nei Paesi emergenti, è stata un’esperienza relativamente poco impegnativa rispetto ad altre. Non è chiaro se la prima visione sia distorta o se la seconda sia radicata nel fatto di aver sviluppato meccanismi di adeguamento migliori. Forse sono vere entrambe le affermazioni.

La Kurdyavko sottolinea che sono le politiche a determinare la capacità di un Paese di uscire dalle crisi con un rafforzamento delle proprie politiche e della propria stabilità. E per questo, al di là del contesto macro, crede, come molti analisti, che il fattore chiave delle performance emergenti resteranno le politiche. Alcuni Paesi stanno percorrendo strade virtuose, da questo punto di vista. Ma singole iniziative non bastano, poter contare su politiche affidabili è la prima priorità per gli investitori e, come sappiamo, nell’attuale contesto di incertezza lo spazio per gli errori deve essere sempre meno.

Nel costruire e pianificare l’allocazione dei propri risparmi, è sempre più importante inserire ed incrociare più variabili: la diversificazione, regina nella costruzione di un portafoglio finanziario, è sempre più sia tematica, che geografica, Entrambe sono necessarie per leggere la contemporaneità anche da un punto di vista finanziario.

 

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