giovedì, 21 Novembre, 2024
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Arriva Facebook Shops: ed è subito guerra (ad Amazon e alla nostra privacy)

Sarà forse perché durante il lockdown Jeff Bezos, patròn di Amazon, ha guadagnato più di 35 miliardi di dollari, oppure sarà per un senso di sana competizione nel mondo dei servizi hi-tech ma tant’è: anche Facebook, nelle prossime settimane, lancerà il suo servizio di vendita online, permettendo così a tutti gli utenti di acquistare qualsiasi articolo direttamente dal proprio profilo e con un semplice click. E così anche il social più popolare del mondo si appresta ad entrare nel mondo dell’e-commerce, contendendo lo spazio vitale ad Amazon, sovrano incontrastato di ogni compravendita nell’iperspazio.

Il servizio si chiamerà Facebook Shops e altro non è che uno spazio virtuale, all’interno del social americano, grazie al quale le aziende potranno proporre direttamente agli utenti la propria mercanzia Un nuovo posto, secondo le intenzioni di Mark Zuckerberg, dove scoprire nuove attività commerciali e acquistare prodotti. Facebook Shop, ha reso noto l’azienda di Menlo Park, consentirà alle persone di trovare facilmente i prodotti delle aziende che amano, scoprirne di nuove ed effettuare acquisti, tutto in un unico posto. La sperimentazione, in corso negli Stati Uniti, si sta dimostrando promettente. Tutto pronto, dunque, per uno sbarco in grande stile.

Del resto il commercio elettronico rappresenta da sempre un’attività molto redditizia, e non soltanto in termini monetari. 

Più di un osservatore, infatti, ha fatto notare che l’innovazione introdotta da Facebook non andrebbe letta (almeno non soltanto) in ottica di semplice incremento di business, quanto piuttosto come un nuovo modo di ottenere maggiori e dettagliate informazioni sul comportamento online dei propri utenti. Chi frequenta un social network, chi compie acquisti attraverso un sito di e-commerce, usufruisce di un servizio di cloud computing o, ancor più semplicemente, attinge informazioni disponibili attraverso un motore di ricerca, offre al gestore un’ampia mole di dati personali. Sono questi, oggi, la principale fonte di guadagno (e di potere) dei giganti del web, il nuovo petrolio. 

Analogamente a quella petrolifera, infatti, anche quella dei big data è un’industria estrattiva: i dati degli internauti vengono collezionati allo stato grezzo e rielaborati, analizzati e sfruttati per fini prevalentemente commerciali: Facebook e, in generale, i social network vivono dei nostri like, utili a profilare i nostri gusti e le nostre preferenze, insieme alle informazioni comunicate dai nostri smartwatch, i film che più ci piacciono scelti su Netflix, i cookie memorizzati sui nostri pc che svelano i siti di nostro gradimento. Tutte queste informazioni, ricomposte e messe a fattor comune, sono in grado di disegnare un’accuratissima mappa dei nostri gusti, delle inclinazioni al consumo e delle nostre predilezioni, grazie alla quale sarà possibile, per le technology companies, inviarci pubblicità personalizzata e offerte su misura che, giocoforza, incontreranno il nostro apprezzamento, spingendoci all’acquisto.

Venghino signori, venghino al grande mercato digitale. Tutti pronti a osservare le sbrilluccicanti vetrine virtuali che a breve appariranno sui nostri profili social. Anche se non acquisteremo nulla – ma ci limiteremo a cliccare su un paio di scarpe o su di un bel pigiamone invernale – va bene uguale: quello che interessa ai grandi del web è la manifestazione di un interesse, un desiderio o una curiosità; giusto il tempo per la lavatrice retta dall’algoritmo di centrifugare le informazioni carpite e possiamo stare sicuri che, in men che non si dica, magicamente apparirà da qualche parte nel web il prodotto che inconsciamente stavamo da tempo cercando. 

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