L’ultimo decreto del Governo ribattezzato “Decreto Agosto”, di soli pochi giorni fa, ha introdotto nuove misure a sostegno del rilancio del Paese con un ulteriore scostamento di bilancio da 25 miliardi e ha finalmente, dopo che era stato preannunciato più volte, rivolto lo sguardo ad una delle categorie meno supportate in emergenza Covid; quella degli invalidi civili.
Su input di un ricorso della Corte di Appello di Torino, la Corte Costituzionale ha sancito che per anni l’articolo 38 della Carta è stato violato per ciò che attiene l’ammontare degli assegni di assistenza spettanti agli invalidi civili totali (invalidità riconosciuta al 100%) ad oggi pari a 285,00 euro mensili, cifra del tutto insufficiente a garantire il sostentamento minimo di chi, senza colpa alcuna, non è in grado di mantenersi attraverso il lavoro. Secondo il nuovo decreto, l’importo degli assegni per gli invalidi civili totali verrà innalzato fino a 651,00 euro al mese per 13 mensilità a fronte però di precisi limiti di reddito personali per tutti coloro che avranno compiuto i 18 anni di età.
Un aumento che supera la linea minima auspicata dalla Corte Costituzionale e che avrà validità dall’entrata in vigore del decreto senza retroattività e fatto salvo che il testo definitivo, che mentre scrivo non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, resti invariato e non subisca ulteriori trasformazioni in fase di conversione in legge entro i prossimi 60 giorni, durante la discussione in Parlamento.
Gli effettivi benefici di questo decreto, raggiungeranno dunque la platea degli aventi diritto, verosimilmente tra settembre e ottobre e dopo relativa circolare attuativa dell’INPS, ente preposto all’erogazione.
È indubbiamente segno e forma – parole e azioni che solo le prima senza essere seguite dalle seconde conducono a danni spesso irreparabili – di civiltà e riconoscimento del valore intrinseco, anche e soprattutto, del più debole e di uno Stato che non può continuare a rivolgere lo sguardo solo ai cosiddetti cittadini “sani e produttivi”.
Però, c’è sempre un però specie in un agosto torrido come questo pandemico, una vocina critica spinge a chiedersi perché ai deboli, ai fragili, a coloro che sono in difficoltà, ci si arrivi sempre un po’ dopo, come se questo mondo avesse tempi per aspettare, forze per sopportare, spirito per vivere in una “vacanza costante” mentre i “grandi” decidono per suo conto.
Eppure il legislatore, tanto vituperato, più di quanto non si possa immaginare, propone e realizza norme che hanno la finalità di sostenere fragilità, che potrebbero entrare nella vita di chiunque improvvise e rapide. Non sempre però la norma riesce ad interfacciarsi proficuamente con la quotidianità di chi vive le difficoltà; è il caso della “Dopo di Noi” che divenuta legge nel 2016, assegna poteri di attuazione alle singole Regioni e dopo 4 anni, ancora fatica enormemente a trasformarsi in uno strumento realmente utilizzato.
Altre volte ancora, le norme vengono presentate ma ci impiegano anni per essere discusse nelle commissioni competenti: succede ad esempio, con la legge sul “Caregiver familiare” che, dopo 2 anni, è in iter di esame in XI Commissione al Senato.
E mentre ci ritroviamo a dibattere di bonus richiesti per “fare beneficenza” e fondi MES che invece non vengono richiesti, mentre potrebbero andare a supporto di una pluralità di bisogni sanitari e relative esigenze di tutela e assistenza dei più fragili, è impossibile non chiedersi “SE NON ORA QUANDO” decideremo di diventare un Paese che pensa prima ai più deboli e lascia che ad attendere un po’ di più siano invece coloro che sono più forti?