Non era mai capitato che l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, universalmente conosciuto con l’acronimo INPS, che eroga pensioni e fornisce numerosi servizi di assistenza alla collettività nazionale, vivesse momenti di tanta gloria per aver elargito bonus di 600,00 euro a bisognosi, su specifica richiesta, a causa dei disagi economici per le restrizioni lavorative da coronavirus, come da disposizioni normative.
A procurare tanta popolarità, dopo accuse a pioggia da parte di quasi tutte le forze politiche di opposizione, per i ritardi – a loro dire – eccessivi ed ingiustificati, oltre che per il misero importo, è stato proprio il fatidico bonus di 600,00 euro cui hanno fatto ricorso, previa specifica domanda all’INPS, tantissime persone bisognose per far fronte alla loro sopravvivenza ed a quella dei familiari.
Il Governo, onde evitare di escludere da tale provvidenziale elargizione economica proprio categorie veramente bisognose, cioè sprovviste di alcun tipo di reddito, non si preoccupò, inizialmente, di indicare requisiti specifici, lasciando, così, spazi al soggettivo buonsenso di ciascun richiedente, fatta eccezione per i beneficiari di disoccupazione e per quelli da redditi di cittadinanza.
Il caso ha voluto che la direzione centrale antifrode, anticorruzione e trasparenza presso l’INPS, tra le altre incombenze, ha rilevato che numerose persone, circa 2 mila, benché titolari di redditi e/o di incarichi retribuiti, erano tra i beneficiari del bonus di € 600,00, successivamente, da maggio elevato a mille euro.
Tra i citati beneficiari vi sono amministratori e consiglieri regionali, le cui retribuzioni non sono certamente, da far ricorrere al bonus dei 600, ovvero dei mille euro. Qualche dubbio può sorgere per i sindaci e per i consiglieri di piccoli comuni.
Ma quello che ha destato generale perplessità e stupore, mandando su tutte le furie segretari di partiti e numerosi loro colleghi, è la presenza, tra i beneficiari suddetti, di cinque parlamentari dei quali si conosce, per motivi di privacy, solamente la loro appartenenza (tre sembra appartengano alla Lega, uno al Movimento Cinque Stelle ed altro ancora non censito.
È bene ricordare che i parlamentari hanno una specifica tutela retributiva, con tantissimi benefici e privilegi, che deriva dal dettato dell’articolo 69 della Costituzione che così recita:
“I membri del Parlamento ricevono un indennità stabilita dalla legge”.
La loro retribuzione è ben nota a tutti nel quantum, non fosse perché è da tempo sotto attenta osservazione ed oggetto di contestazioni presso le rispettive camere.
La soluzione, di fronte alla volontà di una eventuale riduzione, è nel rinvio alla legge ordinaria che invoca il dettato costituzionale suddetto.
Lungi dal pensare che alcuni di una categoria così ben retribuita mensilmente, che si concede anche un accantonamento mensile lordo di circa € 784,14 per assegno di fine mandato, abbiano potuto vivere momenti di estremo disagio economico nella concitata fase della epidemia da coronavirus, durante cui sono state bloccate tutte le attività imprenditoriali e professionali.
Certamente non sembra sia stato commesso alcun reato e, forse, neanche alcun illecito amministrativo, ma i loro colleghi parlamentari sono arrabbiati ed è facile intuirne il motivo ed il disagio che trapela, mentre i percettori di redditi di disoccupazione, di cittadinanza e di disabilità, ai limiti della sopravvivenza, vorrebbero dire loro molte cose che non è difficile immaginare.
Saranno peccati veniali, anche perché “pecunia non olet” e la legge, scritta proprio da loro, non frapponeva limitazioni ai possessori di partita Iva o ai co.co.co., ma non è un esempio da sbandierare e neanche da citare per acquisire consensi. Ormai la credibilità, la fiducia e l’onesta’ sono ulteriormente compromessi in tutti gli schieramenti. Vi sono anche molti problemi giudiziari che aspettano i tre gradi di giudizio.
È molto difficile, comunque, per i comuni mortali immedesimarsi nei cinque parlamentari che hanno inteso beneficiare del bonus da coronavirus di 600,00 e poi di mille euro e dei tantissimi assessori e consiglieri regionali.
Indubbiamente questo racconto di storia tutta italiana, non bello da ricordare, non può passare indenne da riflessioni e da valutazioni e provvedimenti politici.
Il parlamentare durante il proprio mandato non può continuare a fare l’imprenditore e neanche il professionista, deve sospendersi dall’albo degli avvocati, dei medici, degli ingegneri, ect.. Il mandato parlamentare va svolto a tempo pieno, specie se nella prossima legislatura saranno appena 600.
Questo numero sembra non proprio fortunato, per le diatribe che ne sono scaturite e per la data ancora incerta per la pronuncia della Corte Costituzionale, anche se ha fatto fare cinquina al presidente dell’INPS, sulla ruota nazionale.
Forse un po’ di burocrazia, tanto condannata da molti, con qualche condizione, avrebbe imposto cautela, prudenza e riflessione, benché con conseguente aumento dei tempi delle procedure.
Ci si augura che ognuno di loro possa, quanto prima, con lucidità, trasparenza ed onesta’ raccontare il proprio travaglio e le proprie debolezze di fronte al Dio denaro, che acceca e toglie le ragioni dell’intelletto.