La questione sulla riduzione del numero dei parlamentari è una corsa ad ostacoli.
I retroscena, le riserve e le perplessità provengono da più fonti politiche e non sono escluse insidiose trappole.
L’ultimo nodo da sciogliere, prima di dare la parola agli elettori, prevista nei giorni 20 e 21 settembre p.v., è quello della Corte costituzionale che ha ben quattro ricorsi in merito per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevati dal Comitato promotore del referendum, dalla Regione Basilicata, dal senatore Gregorio de Falco e dall’Associazione +Europa.
La presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, ha disposto, con decreto, che i ricorsi siano esaminati nella camera di consiglio del prossimo 12 agosto, esattamente un mese prima della scadenza del suo mandato novennale (13 settembre 2020).
La regione Basilicata, nel suo ricorso, lamenta un taglio sproporzionato di senatori e che si troverebbe, addirittura, con un numero inferiore a quelli della Regione Trentino Alto Adige.
Riccardo Magi, deputato radicale di +Europa, spera che la Consulta bocci l’election day, rinviando il referendum, ora accorpato al rinnovo di 7 consigli regionali e di circa mille consigli comunali.
Il vero problema è che, mancando una legge elettorale che sia da idoneo supporto a questo drastico taglio, ne rimarrebbe fortemente compromesso il principio cardine della nostra Carta costituzionale, cioè il rapporto di rappresentanza tra parlamentari ed elettori, sancito nell’articolo 67 della Costituzione. Tale rapporto ne risulterebbe raddoppiato, per cui il parlamentare diventerebbe una “mosca bianca” nel panorama politico nazionale, ancor più lontano e distaccato dal proprio elettorato, dal relativo territorio e dai problemi connessi.
Alcuni giuristi ed emeriti costituzionalisti affermano che tale consistente taglio di circa un terzo, esattamente di 115 senatori e di 230 deputati, costituirebbe un indebolimento della democrazia, oltre ad una serie di altre implicazioni di modifiche costituzionali che ne altererebbero lo stesso assetto di Repubblica parlamentare.
Rimarrebbe in piedi quel tanto discusso “bicameralismo paritetico” con difficoltà a funzionare, specie al senato con le Commissioni, tenuto conto dei parlamentari che sono chiamati ad assolvere incarichi di governo, salvo che il governo non lo si voglia costituire solamente con tecnici, visto che, comunque, deve ottenere la fiducia del Parlamento, sulla base del proprio programma.
Riusciremo ad immaginare come potrebbe essere, nella prossima legislatura, un Parlamento con 345 scranni vuoti?
Chi sarebbero i perdenti posti?
Sono già tante le precauzioni in atto, tra cui la corsa alla costituzione di partiti personali ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione che ne lascia ampia discrezionalità e fantasia. Infatti così recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
I partiti di governo forzano per la presentazione, almeno alla camera, di un progetto di legge elettorale col metodo proporzionale ed uno sbarramento tra il 5 ed il 3%, ovvero con un premio decoroso di governabilità al primo partito, mentre altri suggeriscono il diritto di tribuna ai partiti che non raggiungono una certa percentuale di sbarramento.
Altri ancora pretendono di abbassare il limite di età per l’elettorato attivo al senato, svuotando ulteriormente il prestigio di saggezza.
I segretari dei partiti o Movimenti vari come colmeranno il vuoto di 345 poltrone, senza contare i famosi “portaborse “, segreterie centrale e territoriali?
Ne è in discussione persino la composizione del Parlamento in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica in considerazione che sarebbe costituito da 600 deputati e senatori, oltre ai cinque senatori a vita e dai 58 delegati regionali che si vorrebbe ridurre proporzionalmente quando, al contrario, sarebbe, forse, da rafforzare vista la voglia di elezione diretta del Presidente della Repubblica. Una presenza consistente di delegati regionali andrebbe verso questa direzione.
La vera motivazione, sposata da sempre e sbandierata in ogni luogo e momento dagli assertori del Movimento cinque stelle, cioè quella di ridurre il costo della politica, non trova affatto d’accordo tanti economisti, giuristi ed esperti di finanza pubblica e dei costi della macchina dello Stato. È colorito il riferimento sistematico al risparmio di appena il prezzo di un caffè per ogni abitante.
Ma ormai il pasticciaccio giuridico è quasi fatto. La legge costituzionale, per giungere a questo traguardo ha dovuto superare, complessivamente, quattro approvazioni di Camera e senato ed ora è allo scoglio del giudizio degli elettori, come prevede l’articolo 138 della Costituzione, ammesso e concesso che la consulta il 12 agosto prossimo venturo non emetta un verdetto che ne allunghi ulteriormente il percorso ad ostacoli.