Le imprese però sono senza liquidità e commesse. Settembre sarà il mese delle incognite.
I conti d’autunno delle imprese sono già in rosso e le prospettive occupazionali volgono verso la burrasca. È corsa contro il tempo per fermare una crisi che staglierà la sua ombra sulle imprese piccole e grandi, su tutto il ceto medio, sulle famiglie operaie, sui lavoratori autonomi, sui giovani e gli anziani, e sarà ancora più pesante su quanti erano già in difficoltà prima della crisi sanitaria ed economica, come l’artigianato e l’agricoltura. Così i toni si alzano. “Se il Governo non prorogasse il blocco dei licenziamenti sino alla fine del 2020, si assumerebbe tutta la responsabilità del rischio di uno scontro sociale”, sostengono a gran voce i segretari segretari di Cgil Cisl e Uil: Maurizio Landini, Annamaria Furlan, Pierpaolo Bombardieri che annunciano come i tempi sono stretti e per il 18 settembre ci sarà una prima manifestazione.
Su che piega prenderà l’iniziativa di metà settembre i sindacati spediscono la palla nel campo del governo e degli industriali, e annunciano che esiti potrebbe prendere il 18 settembre: “che possa essere trasformata in uno sciopero generale dipenderà solo dalle scelte del Governo e della Confindustria”. Sull’allungamento del blocco dei licenziamenti è già in atto una sfida i cui esiti non sono affatto scontati. I sindacati premono rilanciando l’idea di una emergenza che innescherà conflitti e barricate. “Chi pensa di anticipare quella data alla fine dello stato di emergenza”, sostengono Cgil, Cisl e Uil, “dimostra di non avere cognizione delle elementari dinamiche del mercato del lavoro e di non preoccuparsi delle condizioni di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori”. Che la situazione sia difficile ne hanno tutti consapevolezza, ma la coperta degli aiuti non basterà per tutti. I settori produttivi sono tutti in crisi tra questi poi ci sono le punte negative del turismo, dove a parte i mancati introiti per miliardi di euro, dovuti alla assenza dei turisti stranieri, c’è il problema dei lavoratori del settore che sono rimasti inoccupati e non hanno ulteriori prospettive di lavoro.
Il segretario generale della Fisascat Cisl, Davide Guarini, al tavolo con i ministri del Lavoro, Nunzia Catalfo, e di Beni e Attività culturali e Turismo, Dario Franceschini, ha ricordato i numeri della sofferenza, “se tutto dovesse andare per il meglio nel 2020 verrà riattivato solo il 50% dei contratti stagionali. È evidente che l’assistenzialismo non è sufficiente, sono urgenti investimenti pubblici e privati per accompagnare lo sviluppo turistico del paese e la riqualificazione delle infrastrutture, preservando l’occupazione”, ha spiegato Guarini. Le statistiche in negativo vengono allineate con quelle della crisi del 2008, e anche in questo caso il 2020 fa ancora più paura in quanto si naviga nella incertezza. Basta solo il dato dell’automotive il cui blocco ha segnato la stagione più nera dal dopoguerra ad oggi.
Per cercare di capire dove ci porterà la crisi si moltiplicano i report e gli studi, ma gli analisti non sono ottimisti. Il rapporto, ad esempio, tra aperture e chiusure delle imprese, torna a farsi negativo e in modo pesante. Di conseguenza i posti di lavoro a rischio nel 2020 si possono stimare tra i 530mila e i 655mila. Tuttavia, ed è il problema del blocco dei licenziamenti, se non ci sarà intesa tra governo, Confindustria e sindacati, lo scenario sarebbe ancora più pesante. “La forbice si alzerebbe tra i 650mila e gli 850mila posti. È un elenco che non finisce più, dove non dobbiamo dimenticare che a valle dei settori c’è l’indotto”, spiega Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, “ed è anche per questo che per noi diventa fondamentale il prolungamento degli ammortizzatori per tutti coloro che ne hanno bisogno”. Tuttavia, non stanno bene nemmeno le imprese, e Confindustria ha già lanciato più di un allarme. Non si può creare lavoro per decreto così come pagare gli stipendi se poi le attività sono ferme.
Ci sono milioni di piccole imprese che annaspano nelle difficoltà più disparate, che combattono contro effetti complicati e dirompenti: il calo del Pil, l’incertezza sulla ripresa, e la mutazione della organizzazione del lavoro. Tutte questioni che sono di urgente attualità, per gli industriali c’è un problema di produttività e di futuro per i sindacati quello prioritario della tenuta dei posti di lavoro e quindi lo stop dei licenziamenti. Due prospettive diverse e in conflitto e settembre sarà un mese chiave per capire dove si andrà.