Che sia Matteo Salvini a uscire da palazzo, in caso di crisi di governo, è ormai indubbio.
A nulla servono i sondaggi che danno il doppio dei consensi alla Lega e la metà al Movimento 5 Stelle. I numeri dei Deputati e dei Senatori che siedono sugli scranni sono gli stessi di marzo 2018, ad eccezione di qualche fuoriuscito, e le maggioranze possibili sono restate le stesse, ma con qualche variazione in corso.
Pensiamo che il governo Conte bis, perché di questo si tratterebbe in caso di crisi in quanto il Presidente della Repubblica prima di sciogliere le Camere avrebbe il dovere di verificare altre maggioranze, oltre a raccogliere i consensi del PD, primo tentativo del Di Maio post elezioni, raccoglierebbe anche il consenso di un nuovo gruppo parlamentare di moderati centristi che sembrerebbe in lavorazione, provenienti dal gruppo misto, da alcuni parlamentari di Forza Italia che non hanno intenzione di seguire la Carfagna e tantomeno Toti, e da altri benpensanti della politica che non possono rassegnarsi ad un’Italia in pieno declino.
A questo gruppo d’appoggio sta pensando chi della politica se ne intende e che viene da esperienze parlamentari di certo più complesse di queste.
Non sarà il massimo e in altre occasioni non avremmo neppure ipotizzato un governo giallo-rosso-blu ma anche noi non possiamo pensare di riprendere a fare la cronaca di una campagna elettorale per andare a nuove elezioni a ottobre, o a marzo 2019 che nulla sposterebbe rispetto ai nodi italiani da sciogliere.
E con questo, non chiedetevi più perché Salvini non stacca la spina al contratto gialloverde. Matteo sta in politica da molto tempo e, nel silenzio, ha imparato. Non può cedere neppure alle insistenze della Meloni perché sa bene che non si andrebbe a votare subito. La parola passerà agli elettori solo dopo questi tentativi di maggioranze possibili e probabili, anche eventualmente variabili.
Salvini conosce anche lo spirito di Di Maio che per nulla al mondo rinuncerebbe a contattare anche la morte pur di restare a Palazzo. Del resto per lui è l’ultima volta. La prossima sarà tutta un’altra storia perché anche i grillini della prima ora stanno imparando le strade del complesso compromesso politico di chi governa.