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Sé digitale, cyberspazio e avatar identity

mercoledì, 24 Dicembre 2025
2 minuti di lettura

Nel cuore pulsante della rivoluzione digitale, l’integrazione tra umano e reti neurali artificiali sta generando un nuovo spazio di ricerca: il Sé Digitale. Una dimensione che non è solo psicologica o tecnologica, ma profondamente esistenziale. In questo scenario, l’avatar – rappresentazione digitale dell’essere persona – diventa il catalizzatore di una trasformazione senza precedenti nella costruzione dell’identità.

Nel metaverso, le reti neurali artificiali apprendono dai comportamenti, anticipano desideri, riflettono emozioni simulate. Ma cosa accade quando questi sistemi iniziano a influenzare la percezione che la persona ha di sé stessa? Il Sé Digitale non è una copia, ma un’espansione dell’io, una proiezione post-biologica che agisce in un ambiente ibrido. L’avatar, dunque, non è più solo strumento, ma diventa soggetto d’interazione, luogo di riflessione, e a volte, di alienazione. Siamo agli albori della cyber-psicologia o della sociologia della conoscenza nell’avatar identity?

In una società sempre più tecnologizzata, emerge il bisogno di una nuova etica: l’ecologia dell’identità. Chi siamo quando interagiamo con una rete neurale che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi? Chi guida chi? L’ AI-Human o viceversa? In questo caso il metaverso si profila allora come laboratorio sociale, psicologico e filosofico. Gli avatar non sono più semplici personaggi digitali, ma alter ego cognitivi, agenti simbolici attraverso cui esploriamo emozioni, relazioni e ruoli. La neuro-personalizzazione, ovvero l’uso delle reti neurali ricorrenti e deep per costruire esperienze immersive modellate sui profili cognitivi, ridefinisce l’educazione, la terapia, la socialità, definisce i limiti ed i non limiti del cyberspazio. Il rischio? La dissoluzione del Sé in una pluralità di identità digitali frammentate. L’opportunità? L’evoluzione verso un Sé aumentato, consapevole, interconnesso. È l’evoluzione del sinaptico.

Potremmo pensare che, in questa transizione, la AI tradizionale — che si fonda sulla creazione autonoma e sull’analisi di dati — inizi a evolversi in una forma più sofisticata e profonda, in cui non si limita più a “produrre” ma ‘integra conoscenza passata e presente’. O forse anche “coscienza passata e presente?”. È l’inizio di una nuova era, dove la DI (Derivative Intelligence) “intelligenza derivativa” non è solo un’evoluzione della tecnologia, ma una vera e propria integrazione tra umano e artificiale, con un’intelligenza che non si limita a “imparare”, ma che cresce, adatta e percepisce con una comprensione più empatica.

La domanda di alcuni digital human è: se esisto, sono una persona? Possiamo parlare dell’esistenza di un “ghost in the shell”? In questo nuovo umanesimo tecnologico, dobbiamo ripensare l’ontologia dell’essere: siamo ciò che viviamo o ciò che proiettiamo? Il Sé Digitale diventa allora il ponte tra l’umano e il post-umano, tra il reale e il possibile. È tempo di guidare questa transizione con responsabilità e visione. Perché nel metaverso non ci si perde: ci si può anche ritrovare.

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