Corporazioni che isolano, esasperati regionalismi, la crisi del ceto medio, i timori per l’invecchiamento, generano sfiducia. Politica e istituzioni devono recuperare una visione di unità del Paese
Il recente rapporto del Censis conferma un fenomeno che da anni osserviamo senza forse comprenderne appieno la portata: il progressivo distacco dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Non si tratta di semplice sfiducia passeggera, ma di una disaffezione sedimentata nel tempo, figlia di una trasformazione profonda del nostro tessuto democratico.
Distacco iniziato 30 anni fa
La crisi non nasce oggi. Ha radici lontane almeno trent’anni, quando cominciarono a scomparire le sezioni di partito, un tempo centri nevralgici di confronto, formazione e partecipazione. Lì si discuteva, ci si confrontava, si imparava a considerare la politica un’estensione naturale della vita civile. La loro chiusura ha lasciato un vuoto che non è mai stato colmato: al loro posto è arrivata una politica sempre più personalistica, filtrata dalla televisione e oggi dai social, dove tutto è immediato ma poco duraturo, molto visibile ma difficilmente veramente condiviso. Si naviga a vista e per sensazioni non per spirito collettivo.
Corporazioni che isolano
Negli stessi anni si sono rafforzate logiche corporative, rivendicazioni individuali, forme di localismo che hanno finito per indebolire il senso di appartenenza a una comunità nazionale. Le Regioni hanno assunto un ruolo sempre più forte – per alcuni versi esasperato – ma spesso senza una cornice di coordinamento che tenesse saldo il principio di unità con il Paese. Così, laddove un tempo la dimensione collettiva prevaleva, oggi dominano frammentazione e solitudine civica.
I numeri parlano chiaro: l’astensione record nelle ultime elezioni regionali è un sintomo evidente di questo scollamento. Molti cittadini non credono più che il voto possa incidere sul loro destino o su quello del Paese. Si sentono ai margini, non chiamati in causa. Percepiscono uno Stato distante e, in un’Italia che invecchia rapidamente, temono che il sistema di welfare non riuscirà più a sostenere chi ha bisogno.
Difendere l’interesse collettivo
La disaffezione ha un altro costo, più subdolo: alimenta una trasformazione del nostro modello sociale. Le priorità individuali prevalgono sull’interesse collettivo; la difesa del proprio micro-beneficio sostituisce l’idea di bene comune. E questo frantuma la società, indebolisce la democrazia, allarga la forbice tra chi ha e chi non ha. Il ceto medio, in particolare, avverte con crescente intensità un senso di impoverimento materiale e morale: lavora, produce, sostiene il Paese, ma vede che la ricchezza si concentra nelle mani di pochi mentre il proprio sforzo sembra non bastare più.
Il rischio di modelli autocratici
In questo clima, come segnala il Censis, cresce il disinteresse verso la politica, la sfiducia nell’efficacia della democrazia e, fatto ancor più inquietante, aumenta l’attrazione per modelli autocratici, percepiti – erroneamente – come più rapidi, più efficienti, più capaci di dare risposte immediate.
Si disperde un patrimonio
Siamo un Paese che invecchia, con una forza lavoro sempre più matura, con sempre meno imprenditori e un esercito di giovani che rinuncia. Sono 1 milione e 400 mila i ragazzi tra i 24 e i 34 anni che non studiano e non lavorano: un patrimonio di energie e intelligenze che rischiamo di perdere. E contemporaneamente il mercato del lavoro registra una carenza di competenze, professionalità, progettualità.
Non siamo nell’abisso ma liberiamo le energie
Eppure, nonostante questo quadro, l’Italia non è sull’orlo dell’abisso. Nel Paese esistono forze vitali che chiedono spazio, che vogliono partecipare, che credono ancora nel futuro. Ci sono realtà produttive, civiche, associative che coltivano una visione collettiva e che potrebbero essere la base di una nuova stagione di crescita. Ma queste energie devono essere liberate da ciò che oggi le soffoca: regionalismi esasperati, corporazioni impermeabili, leaderismi che creano identità provvisorie e conflittuali anziché coesione.
Ritrovare una visione d’insieme
L’Italia ha bisogno di ritrovare una “coralità”, uno spirito di corpo capace di ricostruire un destino comune. E questo passa necessariamente attraverso una nuova stagione di partecipazione. La politica deve tornare a crescere dal basso: riaprire spazi di confronto, ricreare luoghi fisici e sociali in cui tornare a discutere, a formarsi, a sentirsi parte. La solitudine civica è il vero nemico della democrazia.
Non si tratta di nostalgia, ma di una necessità: senza relazione, non c’è comunità. Senza comunità, non c’è futuro.
Io coraggio di essere uniti
Se vogliamo un Paese più forte, dobbiamo rimettere in moto quel senso di appartenenza che ci ha sempre aiutato nei momenti più difficili. Servono idee, coraggio, responsabilità delle istituzioni. Ma serve, innanzitutto, la volontà di tornare a essere protagonisti. Perché l’Italia si rimette in movimento solo quando i cittadini riscoprono l’orgoglio e la forza di avere un ruolo e camminare insieme.



