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Shabaka, l’Italia che vuole ridare all’Europa il controllo dell’Intelligenza Artificiale

Mentre i giganti mondiali dell’AI puntano su potenza e complessità, una società con sede a Roma e cuore tecnologico a Caserta costruisce un’infrastruttura sovrana e trasparente. LʼAmministratore unico Giampiero Pilla: “Non chiediamo di fidarsi della tecnologia, ma di verificarla”
domenica, 2 Novembre 2025
2 minuti di lettura

Mentre i giganti globali dell’Intelligenza Artificiale inseguono potenza e complessità, una realtà italiana lavora su un principio diverso: la fiducia deve essere verificabile. Con sedi operative nel Sud Italia, in particolar modo a Caserta (sede legale a Roma) e una missione di sovranità digitale europea, Shabaka S.p.A. sta costruendo un’infrastruttura tecnologica sicura, trasparente e indipendente. Ne parliamo con Giampiero Pilla, Amministratore unico dell’azienda.

Avvocato Pilla, Shabaka S.p.A. si definisce “il custode italiano dell’Intelligenza Artificiale”. Cosa significa concretamente?

Significa lavorare per restituire all’Europa, e in particolare all’Italia, il controllo sui propri dati e sui propri algoritmi. Oggi i grandi colossi tecnologici globali costruiscono intelligenze artificiali sempre più potenti, ma anche sempre più opache. Noi vogliamo ribaltare il paradigma: la tecnologia deve essere verificabile, non solo promettere fiducia, ma dimostrarla matematicamente”.

Un obiettivo ambizioso. Da dove nasce questa esigenza di “verificabilità”?

Nasce da un paradosso che tutti conosciamo: più un’Intelligenza Artificiale diventa sofisticata, meno capiamo come decide. Eppure oggi le AI partecipano a decisioni che cambiano vite, dai mutui alle diagnosi mediche. Se non possiamo verificare un algoritmo, allora non stiamo parlando di progresso, ma di dipendenza. La vera innovazione non è tecnica, ma etica e strutturale: costruire fiducia verificabile”.

In un contesto dominato da player globali, come si posiziona Shabaka?

Non vogliamo inseguire i colossi su potenza di calcolo o dimensione dei modelli linguistici. Vogliamo costruire ciò che ai colossi manca: la possibilità di certificare, spiegare e difendere in tribunale un algoritmo. Tutto ciò che sviluppiamo nasce e rimane in Europa: niente cloud esterni, niente server di terze parti, niente connessioni obbligatorie. Il nostro sistema è air-gapped, isolato, verificabile in locale”.

In che modo questo approccio si collega alla sovranità digitale europea?

La sovranità digitale non è uno slogan: è una questione di sicurezza. Secondo l’ultimo EU Digital Economy Report, oltre il 90% dei dati pubblici europei è gestito da infrastrutture appartenenti a grandi piattaforme extraeuropee. Ciò significa che soggetti non europei possono, di fatto, accedere a informazioni sensibili anche se archiviate nell’Ue. Shabaka nasce come risposta a questa vulnerabilità sistemica, per offrire un’infrastruttura completamente sovrana, verificabile e indipendente”.

Quali tecnologie state sviluppando per realizzare questa visione?

Abbiamo tre sistemi integrati che costituiscono un’unica architettura della fiducia digitale:

Neurox™ – La verità dentro un file; VeriChain™ – Quando l’algoritmo deve rendere conto; OLO System – La città che pensa da sola. Altre info sono sul sito www.shabaka.ai.”

State lavorando anche su progetti a livello europeo, giusto?

Sì. Shabaka guida la candidatura di un consorzio europeo nell’ambito di Horizon Europe, il programma dell’Unione europea per la cybersicurezza e la fiducia digitale. Collaboriamo con enti pubblici e partner esteri per testare protocolli di certificazione sovrana e di accountability dell’intelligenza artificiale. L’obiettivo è semplice: fare dell’Europa il laboratorio mondiale della fiducia digitale”.

In chiusura, qual è la missione ultima di Shabaka?

Costruire un futuro in cui la tecnologia non debba essere creduta sulla parola, ma dimostrata. Non chiediamo di fidarsi: chiediamo di verificare. Ci tengo a sottolineare che Shabaka ha un altro grande obiettivo, e cioè porre uno sguardo sui giovani informatici per evitare che ci sia una fuga di cervelli”.

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