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IA e lavoro, il rapporto Randstad: oltre 10 milioni di italiani a rischio sostituzione

L’analisi della Fondazione evidenzia l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulle professioni: i giovani sono i più vulnerabili, ma entro il 2030 il calo della forza lavoro potrebbe attenuare l’effetto dell’automazione
lunedì, 27 Ottobre 2025
2 minuti di lettura

La Fondazione Randstad AI & Humanities ha diffuso un’analisi approfondita sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul mercato del lavoro in Italia, delineando quali categorie professionali risultano maggiormente esposte ai cambiamenti. Il report, ‘L’impatto dell’Intelligenza Artificiale sui lavoratori italiani’, valuta tre dimensioni chiave: rischio di automazione, esposizione all’IA ed esposizione al Machine Learning, adattando per la prima volta al contesto italiano metodologie adottate negli Stati Uniti.

Secondo lo studio, l’IA non avrà un impatto omogeneo: alcuni lavori scompariranno o verranno profondamente trasformati, mentre altri cresceranno grazie allo sviluppo di nuove professionalità tecnologiche legate ai dati, alla programmazione, alla manutenzione dei sistemi e alla supervisione degli algoritmi. La rivoluzione in corso riguarda sia il margine estensivo (nuovi lavori vs lavori sostituiti) sia il margine intensivo (trasformazione delle competenze richieste). Il report ricorda che, secondo stime Ocse, fino al 27% delle mansioni in Europa potrebbe cambiare a causa dell’IA, confermando la rilevanza del fenomeno anche per l’Italia.

Chi rischia di più: i numeri

La popolazione analizzata è pari a 22,4 milioni di occupati. Per il rischio di automazione, 10,5 milioni di lavoratori risultano altamente esposti: il 43,5% svolge professioni ‘medium skill’, mentre solo il 9,9% è tra gli ‘high skill’; le professioni maggiormente minacciate includono addetti alla logistica, cassieri, operai non specializzati, call center e parte dei servizi turistici. Tra i 7,8 milioni scarsamente esposti, il 71,5% è composto da lavoratori altamente qualificati, soprattutto in ambiti tecnico-scientifici, legali, gestionali e sanitari. Per l’esposizione all’IA, invece, sono 8,6 milioni gli occupati fortemente esposti, con il 67,1% appartenenti agli ‘high skill’: tra i ruoli più interessati figurano analisti, consulenti finanziari, professionisti Ict, ricercatori, docenti universitari e responsabilità manageriali. Il Machine Learning interessa 8,4 milioni di lavoratori, con prevalenza di ‘medium skill’ (46,1%): in questo gruppo spiccano impiegati amministrativi, addetti al back office, ruoli contabili, Hre assicurativi.

Differenze per genere, età e istruzione

Gli uomini sono più soggetti all’automazione (48,7% altamente esposti), mentre le donne risultano più vulnerabili all’IA (45,6% altamente esposte) e al Machine Learning (43,2%), anche perché impiegate con maggiore frequenza in mansioni che prevedono uso di software gestionali, Crm, strumenti digitali e attività di data entry. I giovani tra i 15 e i 24 anni sono la fascia più colpita dal rischio automazione (59,5% altamente esposti), ma anche la più potenzialmente ‘riqualificabile’, grazie alla maggiore plasticità del percorso formativo. L’istruzione incide fortemente: il 58,5% di chi ha solo la scuola dell’obbligo è ad alto rischio automazione, quota che scende al 21,9% tra i laureati, mentre il 69,8% dei laureati è altamente esposto all’IA, segno che questa tecnologia impatterà soprattutto le professioni qualificate.

Nord e smart working i più esposti

L’impatto dell’IA è maggiore al Nord e al Centro rispetto al Sud, riflettendo la diversa composizione economica dei territori: Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio sono tra le regioni con più lavoratori esposti. Chi lavora da remoto è particolarmente esposto all’IA: tra chi utilizza lo smart working per almeno metà del tempo, l’82,5% è altamente esposto all’IA; il dato sale all’85,5% tra chi lo usa saltuariamente, anche perché lo smart working è prevalente nei servizi avanzati, dove l’adozione di IA generativa, chatbot e automazioni software è più rapida.

La grande variabile: il calo della forza lavoro

Entro il 2030 l’Italia perderà 1,7 milioni di lavoratori, pari al 6% della forza lavoro attuale, soprattutto per il calo demografico: questo potrebbe mitigare l’impatto dell’automazione sull’occupazione, poiché parte dei posti potenzialmente “eliminati” dall’IA sarebbe comunque difficile da coprire. Secondo il report, se governata con politiche attive, la transizione potrebbe perfino generare crescita: stime internazionali indicano che l’IA potrebbe aumentare la produttività fino al 30% in alcuni settori.

Il fattore umano resta decisivo

Il report ribadisce che l’IA non sostituirà il lavoro umano, ma ne ridefinirà il valore: crescerà la domanda di creatività, pensiero critico, problem solving, intelligenza emotiva, gestione del cambiamento e capacità di supervisione dei sistemi automatizzati. Sarà essenziale intervenire su formazione, orientamento e riqualificazione, aggiornando i modelli educativi e professionali per evitare un aumento del divario di competenze e garantire che la transizione tecnologica sia sostenibile e inclusiva.

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