La rivalità tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti d’America costituisce nel 2025 il principale asse di tensione del sistema internazionale. Tale competizione, lungi dal limitarsi al piano economico o militare, assume una dimensione strutturale che coinvolge modelli alternativi di governance, paradigmi tecnologici e visioni contrastanti dell’ordine mondiale. Il presente articolo analizza le tre principali direttrici della rivalità — economica, tecnologica e geopolitica — evidenziando le interdipendenze e le possibili aree di cooperazione. Tuttavia il punto fondamentale è rappresentare la portata della sfida cinese, che è globale e sistemica.
Immaginare sfere di influenza o limitarla alla questione Taiwan vuol dire non aver compreso appieno la volontà di proiezione del gigante asiatico. La recente notizia dell’ interruzione delle forniture di petrolio russo da parte cinese, per dimensioni, non rappresenta un cambio di postura tale da modificare gli assetti globali. La Cina ha sempre importato petrolio dall’ Iran. Al più è un segnale simbolico diretto forse più alla Russia in risposta al discorso di Putin al club Valdai sulla collocazione Geopolitica della Russia come pilastro di un nuovo ordine mondiale a tre tra Cina USA e Russia. Un progetto che se concretizzato porterebbe ad una minore dipendenza dal Dragone cinese.
Nel contesto internazionale, ad oggi, la relazione tra Cina e Stati Uniti rappresenta il baricentro delle dinamiche geopolitiche ed economiche globali. Si tratta di una rivalità che, secondo numerosi analisti (Allison, 2017; Mearsheimer, 2021), incarna la classica tensione tra potenza egemone e potenza emergente, ossia la “trappola di Tucidide”. Tuttavia, l’attuale competizione si differenzia da quelle storiche per la sua natura interdipendente: le due economie risultano profondamente connesse sul piano commerciale, finanziario e tecnologico, pur rimanendo strategicamente antagoniste.
La contrapposizione sino-statunitense non è quindi solo una lotta per la supremazia materiale, ma una competizione sistemica che riguarda il modello di sviluppo, le regole del commercio globale, l’etica della tecnologia e la forma del futuro ordine internazionale. Ognuno di questi settori è divenuto terreno per una guerra ibrida multilivello nella speranza di non arrivare all’ opzione militare che però al momento rimane concretamente sul tavolo, se non vi saranno mutamenti da ambo le parti.
Da un punto di vista macroeconomico, nel 2025, gli Stati Uniti mantengono il primato globale, con un PIL nominale stimato attorno ai 30,5 trilioni di dollari, rispetto ai 19,2 trilioni della Cina. Tuttavia, il dato numerico maschera una realtà più complessa. La Cina, pur avendo rallentato il proprio tasso di crescita, mostra una notevole resilienza industriale e una capacità crescente di penetrazione nei mercati emergenti, specialmente in Africa, Asia centrale e America Latina.
La guerra commerciale inaspritasi negli anni precedenti, con dazi statunitensi fino al 54% su alcuni prodotti cinesi, ha provocato una ridefinizione delle catene globali del valore. Gli Stati Uniti hanno cercato di ridurre la dipendenza dalle forniture cinesi, mentre Pechino ha accelerato la propria strategia di decoupling selettivo, puntando sull’autosufficienza tecnologica e sulla promozione della dual circulation economy.
Questa dinamica testimonia una duplice tendenza: da un lato la volontà di entrambi gli attori di affermare la propria sovranità economica, dall’altro la difficoltà di un disaccoppiamento totale in un sistema globalizzato, dove la stabilità economica mondiale dipende ancora dal reciproco equilibrio tra le due potenze. Il disaccoppiamento totale appare difficile, ma non impossibile: se da un lato la Cina rappresenta la principale potenza industriale globale, dall’altro resta fortemente dipendente dai mercati esteri per l’assorbimento delle proprie esportazioni. D’ altro canto gli USA pur con i loro problemi, hanno una economia che dipende solo per il 3% dall’ interscambio e sono autosufficienti dal punto di vista energetico. Una rottura totale, paradossalmente, avrebbe ripercussioni gravi sulle loro economie, ma sarebbe devastante per gli attori intermedi.
Passando alla dimensione tecnologica, questa rappresenta oggi il terreno più strategico della competizione sino-americana. Gli Stati Uniti conservano la leadership nei settori dell’intelligenza artificiale avanzata, dei semiconduttori e della ricerca quantistica. Tuttavia, la Cina ha raggiunto posizioni di rilievo nello sviluppo delle reti 5G, dei supercomputer e nei sistemi di sorveglianza digitale basati su big data.
Questa rivalità non si limita alla sfera dell’innovazione industriale, ma si estende alla definizione delle norme internazionali che regolano la tecnologia stessa. La “lotta per gli standard” — dal 5G ai protocolli di sicurezza informatica — è diventata una forma di soft power normativo, in cui ciascuna potenza cerca di proiettare il proprio modello di governance digitale come paradigma globale.
Pechino, attraverso progetti come la Digital Silk Road, promuove un ecosistema tecnologico alternativo a quello occidentale, centrato su infrastrutture controllate dallo Stato e su un uso politico dei dati. Washington, invece, difende un modello di internet aperta e basata su regole di mercato, sebbene anch’essa ricorra a restrizioni e controlli per motivi di sicurezza nazionale.
La Cina, parallelamente, espande la propria influenza attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), che combina investimenti infrastrutturali, diplomazia economica e penetrazione politica. Questa strategia non mira solo a consolidare la presenza economica di Pechino, ma anche a costruire un ordine alternativo fondato su principi di non ingerenza e cooperazione Sud-Sud.
Sul piano strategico, l’Asia-Pacifico rappresenta l’area di maggiore frizione. Taiwan continua a costituire il punto nevralgico del confronto, simbolo dell’autonomia territoriale e della sovranità nazionale per Pechino, ma è soltanto l’ aspetto più visibile di questo confronto. In ogni caso le esercitazioni militari, le dispute nel Mar Cinese Meridionale e il rafforzamento delle alleanze regionali — come il Quad e l’AUKUS — riflettono una crescente militarizzazione della regione.
Il risultato è un equilibrio instabile, in cui la deterrenza e la diplomazia si intrecciano in un gioco di percezioni strategiche che ricorda, per certi aspetti, la logica della Guerra Fredda, ma in un contesto di interdipendenza, sconosciuto al confronto con USA – URSS.
L’errore in cui molti analisti cadono, a mio modesto avviso, è che la sfida della Cina non è una sfida per assicurarsi delle aree di influenza, ma è a livello globale, appunto sistemica e il fine è smantellare la centralità degli USA e del loro modello.
Aspettarsi che gli USA permettano movimenti e spinte in questa direzione, allo stato attuale, appare improbabile. Questo rende molto pericolosa la situazione internazionale anche perché il possibile conflitto non sarebbe convenzionale.
Questa dimensione planetaria ci permette di capire perché gli USA chiedano ai loro partners di colmare il gap militare rispetto ad un blocco sino russo in espansione. Tuttavia una contraddizione emerge nelle richieste statunitensi: da un lato si sollecita un incremento significativo delle spese militari da parte dei partners, dall’altro si adottano politiche commerciali e sanzionatorie — in particolare nel settore energetico — che ostacolano concretamente tale riarmo. Comunque sempre la dimensione planetaria ci fa comprendere perché contemporaneamente si riducano drasticamente gli spazi di cooperazione funzionale con la Cina.
Le sfide globali — cambiamento climatico, regolamentazione dell’intelligenza artificiale, sicurezza cibernetica, stabilità finanziaria — richiedono una governance multilaterale che non può prescindere dal dialogo tra Washington e Pechino. Ma l’ eventuale costruzione di un quadro di cooperazione selettiva, che potrebbe ridurre il rischio di escalation e favorire una stabilizzazione dell’ordine internazionale, rimane di difficile attuazione in contesto di antagonismo sistemico che è di tipo economico, tecnologico , militare, ma anche ideologico e culturale. La competizione sino-statunitense non determinerà soltanto chi guiderà il XXI secolo, ma quale tipo di modernità, di sicurezza e di giustizia globale sarà possibile costruire.
In conclusione la rivalità tra Cina e Stati Uniti nel 2025 si configura come il principale motore della trasformazione dell’ordine mondiale. Essa non rappresenta semplicemente una contesa per la supremazia economica o militare, ma una sfida strutturale tra modelli di potere, paradigmi tecnologici e visioni normative.
Si tratta di due visioni del mondo inconciliabili, costrette a confrontarsi per affermarsi nello stesso spazio.



