Una violenta tempesta ha colpito l’Alaska occidentale nella notte tra sabato e domenica, spazzando via interi villaggi costieri e lasciando dietro di sé una scia di distruzione. Raffiche di vento fino a 160 km/h e onde alte oltre sei metri hanno travolto le comunità di Nunam Iqua, Hooper Bay e Toksook Bay, dove decine di abitazioni sono state distrutte o trascinate via dalle acque. Le autorità locali, in collaborazione con la Guardia Nazionale e squadre di soccorso tribali, sono riuscite a salvare oltre 70 persone intrappolate tra detriti, fango e ghiaccio. “È stato come un uragano artico,” ha dichiarato il governatore Mike Dunleavy, che ha proclamato lo stato di emergenza in cinque contee. Le operazioni di salvataggio sono state rese difficili dall’isolamento geografico dei villaggi, raggiungibili solo via elicottero o con mezzi anfibi. Alcuni residenti sono stati trovati aggrappati a tronchi galleggianti o rifugiati in scuole e chiese rimaste in piedi. La tempesta, alimentata da un ciclone extratropicale proveniente dal Mare di Bering, ha colpito una delle regioni più vulnerabili degli Stati Uniti, dove le infrastrutture sono spesso precarie e le comunicazioni intermittenti. “Abbiamo perso tutto: la casa, le barche, i generatori,” ha raccontato una residente di Hooper Bay. “Ma siamo vivi, e questo è ciò che conta.” Secondo il National Weather Service, si tratta della peggiore tempesta registrata in Alaska dal 2011. Le autorità federali hanno inviato aiuti d’emergenza, tra cui tende riscaldate, scorte alimentari e kit medici. Il Dipartimento della Sicurezza Interna ha attivato un ponte aereo per evacuare i feriti più gravi verso ospedali attrezzati a Anchorage e Fairbanks. Molti dei villaggi colpiti sono abitati da comunità indigene Yupik e Inupiat, che ora temono di dover abbandonare le loro terre ancestrali. “Questa non è solo una crisi climatica,” ha detto un leader tribale. “È una minaccia alla nostra identità.”
