Gli Stati Uniti si trovano oggi di fronte a una crisi interna profonda, che ne compromette la coesione federale e condiziona la loro capacità di proiezione internazionale. La priorità strategica non è più il contenimento esterno, ma la ricomposizione di uno sfaldamento interno che genera spinte centrifughe—ideologiche, sociali e culturali—capaci di mettere in discussione l’identità stessa dell’Unione.
Immaginate intere nazioni europee senza impianti industriali,perché queste sono le dimensioni in scala della Rust Belt(letteralmente la cinta arrugginita). Una Rust Belt, un tempo cuore industriale del Paese, che oggi é il simbolo di un capitalismo predatorio che ha delocalizzato la produzione in Asia, lasciando dietro di sé comunità svuotate. Salvo poi cercare di invertire il processo con stipendi “asiatici”, ma con un costo della vita rimasto occidentale. Questo ha portato anche ad una perdita di capacità: la crisi della manodopera qualificata è tale che persino nuovi impianti, come quello Hyundai, devono importare operai. La cantieristica navale segue lo stesso destino.
A questo si aggiunge una trasformazione demografica e culturale profonda: Su 395 milioni di persone circa 65 milioni di cittadini americani sono di origine messicana, concentrati in Stati che furono parte del Messico, non 2000 anni fa, ma 150 anni fa, come la California (del nord direbbero i messicani), il Texas, il New Mexico. In generale nel Sud Ovest. Non si tratta solo di immigrazione, ma di una sovrapposizione storica e culturale che sfida il modello dell’assimilazione, arrivando a configurare una sovrapposizione identitaria potenzialmente in grado di destabilizzare il mito dell’unità nazionale. A differenza degli immigrati ad esempio europei, hanno famiglie al di là di un fiume,non un oceano a separarle. Un Messico che non ha mai davvero rinunciato a quegli Stati e che non è quello che vedete nelle serie TV tutto cocaina e cartelli, ma una media potenza in ascesa, non è più solo il vicino problematico, ma un attore geopolitico connesso organicamente al tessuto sociale statunitense.
La polarizzazione ideologica ha raggiunto livelli tali da generare una segregazione residenziale basata sull’orientamento politico, con la formazione di aree urbane, monocolore. Un frammentazione del tessuto sociale che non riguarda solo iquartieri nelle grandi metropoli, ma anche piccole medie città. Si è generato un “sorting” residenziale: si sceglie dove vivere in base all’orientamento politico. Insomma un fenomeno che ci mostra come la frammentazione sia arrivata a toccare anche le scelte più quotidiane, segnando un’America divisa non solo da opinioni, ma da geografie, stili di vita e valori all’ apparenza inconciliabili.
Nella mappa degli Stati che compongono l’ Unione, la piaga del Fentanyl (la droga degli Zombie) fa paura: le percentuali oscillano dal 3% al 8%,senza contare gli altri abusi. È un segnale di profondo malessere. Una società che al di là della retorica, non riesce a reinserire i propri militari. I reduci delle guerre recenti,affrontano tassi di suicidio superiori ai caduti in battaglia. In Afghanistan ci sono stati 13.000 caduti e 16.000 suicidi tra i reduci ritornati a casa.
Il welfare è disomogeneo: sviluppato sulle coste, quasi assente altrove. La violenza è strutturale, funzionale a una società che deve poter andare in guerra per mantenere l’Impero einternamente competere senza tregua in una sorta di darwinismo sociale perenne .
L’ascensore sociale è inceppato, l’istruzione, privatizzata, riflette le disuguaglianze economiche e geografiche. In sostanza nascere in una zona ricca, significa migliori scuole e migliori scuole vogliono dire una buona probabilità di un alto tenore di vita. La democrazia americana è così forte nella sua tradizione, da mostrare però una vulnerabilità: non ha mai sviluppato anticorpi contro derive autoritarie, perché non ne ha mai avuto bisogno.
Questa condizione di fragilità interna si riflette in politiche che appaiono inedite rispetto alla tradizione statunitense. La presenza della Guardia Nazionale nelle città, le deportazioni arbitrarie, l’invocazione di poteri speciali da parte dell’esecutivo, laradicalizzazione del confronto/scontro politico che arriva a sfociare in violenza omicida. Sono tutti segnali di una transizione sociale e istituzionale traumatica.
Emblematici sono i cambiamenti nella comunicazione ufficiale del Pentagono, che privilegia immagini di operazioni interne come la Guardia Nazionale nelle città rispetto a missioni estere, e la coniazione di medaglie per soldati impiegati al confine meridionale con il Messico ( innovando la prassi che le limitava ai soldati impegnati nei teatri internazionali).
Sono tutti segnali della gravità della situazione, ma anche la vulnerabilità di una democrazia talmente forte nella sua tradizione , da non aver mai avuto bisogno di sviluppare particolari anticorpi contro derive autoritarie populiste o satrapie finanziarie e politiche. L’erosione democratica parte da lontano. Tocqueville ci ricorderebbe che la virtù repubblicana richiede anche la paura del suo contrario. Machiavelli ci ammonirebbe che la forza di uno Stato risiede nella sua coesione interna prima che nella sua proiezione esterna.
La politica estera americana, spesso percepita come incoerente o aggressiva, non può essere compresa senza considerare questa emergenza interna.
Eppure, l’America conserva risorse immense e non solo economico – finanziarie o tecnologiche, ma anche e soprattutto umane per ritrovare se stessa e risollevarsi. Ma la sfida è titanica, e riguarda non solo gli Stati Uniti, perché la way out, l’ esito di questa sfida avrà un impatto sistemico che coinvolgerà l’intero equilibrio globale.