Le truppe dei tuttologi tra smart working, digitalizzazione, intelligenza artificiale, e contact tracing.
È innegabile che l’affondo del coronavirus abbia costretto l’Italia a ripensare e velocizzare l’implementazione di nuove forme di innovazione tecnologica, una generazione full digitalizzation, dove l’archiviazione, il trattamento dei dati, il lavoro agile e in ultimo la gestione delle app di tracciamento sanitario saranno al centro del nuovo pensiero semi artificiale. Esistere al di fuori di noi stessi può portare a sacrificare la propria Privacy, anche se molti pensano che non condividere può essere anche più importante di ciò che di solito mettiamo in piazza. La sfida è partita. Fino a pochi giorni fa, i social e i canali storici di comunicazione come tv e radio erano invasi da virologi e tuttologi di ogni specie per lo più allarmisti ma che tecnicamente ragionavano con i morti che le terapie intensive sfornavano a tutte le ore; ultimamente si è liberata la setta dei negazionisti, quelli che ci parlano di un calo dei contagi e di essere stati pervasi in questi mesi da un catastrofismo eccessivo. Mi sembra pure giusto e normale che il virus appaia meno forte dopo due mesi di lockdown forzato e rispettato dalla nazione. È come dire che la Juve è meno competitiva dopo aver venduto Ronaldo, Dybala e Pjanic. L’onda dei nuovi tuttologi che sanno tutto del presente, poco del passato e che “del diman non v’è certezza”, entrano a gamba tesa nella logica della comunicazione di massa. Il campo di battaglia preferito dell’esercito di “quelli che tutto sanno” però rimane quello dell’informazione digitale. In questo momento di crisi e di paura, non esiste più la mediazione giornalistica: ognuno è artefice del proprio tg, una sorta di sfogatoio imprudente e pericoloso. In questo terreno, dove la corsa all’innovazione tecnologica fermenta e ribolle come non mai, si affacciano i nuovi guru, gli sciamani del mouse, per i quali la politica cerca sponde e porti sicuri (o viceversa). L’addetto stampa non chiama più i blogger (e viceversa) ma corregge il pensiero attraverso il social, portando un messaggio globale, buttato nell’arena dei leoni senza l’aura sovrana del vecchio giornalista che ne sintetizzava e rivelava il messaggio.
Arrivano i nuovi santi, studiosi di smart working, personaggi in grado di decifrare e argomentare un modus operandi che fino a pochi anni fa sembrava un atterraggio su Marte. L’ottanta per cento della popolazione Italiana ha lavorato da casa; nel giro di due giorni, uno schermo di 22 pollici circa è stato compagno di clausura e inevitabilmente diventerà nel corso del tempo compagno di vita domestica. Molti, abituati ad essere stipati in stanze redazionali, sono rimasti soli, senza l’alito mefitico del collega sfigato o delle immancabili chiavette delle macchinette per il caffè. Tanti si sono continuati a non parlare tra di loro, stavolta con la scusa della distanza. L’azienda, il ministero, la banca erano da tempo oggetti lontani per molti lavoratori. Smart working per obiettivi. Questo è il leitmotiv di chi si ritrova in quarantacinque metri quadrati con due figli sotto al tavolo. Ed ecco l’esperto di comunicazione che con un doppio tuffo carpiato ci parla di burnout, di over working, e di lavoro per progetti; e infatti molti hanno continuato a lavorare a quel progetto anche da cassaintegrato, senza mai fermarsi, fino alle undici di sera. Nel nome di una nuova filosofia dell’emergenza lo schermo diventa compagno inseparabile a volte imprescindibile.
Il sociologo De Masi elogia lo smart working ma ci fa notare che la disorganizzazione generale in materia, è debordante, citando quella che molti datori di lavoro non riescono a superare, ossia la cosiddetta “Sindrome di Clinton” (senza scomodare prove del dna), ovvero l’idea di avere vicino i propri collaboratori. Basterebbe però lavorare concettualmente in funzione dell’aiuto alla comunità e non trovare un progetto per forza. Non c’è nulla da giustificare. Lavorare da casa deve essere un’occasione per tutti; per il clima, per l’azienda senza però che il lavoratore debba rimetterci in sensi di colpa e soldi. Il fatto di avere norme labili che in pieno lockdown apparivano obsolete, ha lasciato strascichi sull’organizzazione personale del lavoro sia in termini psicologici che manageriali. Lavorare dove c’è bisogno. Creare una rete dove poter mettere a disposizione il proprio know-how per incrementare flussi strategici. Questo potrebbe essere il futuro del lavoro agile. L’individuazione di aree non coperte, sguarnite, in ritardo; formare la risorsa umana in modo da potersi mettere in gioco per coprire certe falle, soprattutto nei servizi più importanti, senza doversi inventare obiettivi che alla fine non portano vantaggi a nessuno. Basti, pensare alle problematiche degli arretrati nei tribunali o i servizi inefficienti che per mancanza di organizzazione ricadono sui cittadini. La politica dovrà intervenire; la giungla della rincorsa alla tecnologia è fitta di animali pronti ad impossessarsi della nostra identità digitale. Contact tracing, intelligenza artificiale, lavoro da remoto, sperando che non diventi un trapassato remoto. Vittorio Colao riferisce alla stampa che con la digitalizzazione la pubblica amministrazione può cancellare quegli elementi di burocrazia che fermano il paese e cercare la vera semplificazione dentro una stratificazione di leggi quasi paleolitica. Un’osservazione impossibile da non condividere ma che quasi tutte le forze politiche da almeno vent’anni a questa parte hanno cercato di imporre almeno sulla carta. C’è veramente bisogno di un’intelligenza artificiale quando in noi latita quella naturale? Avere dalla propria parte la tecnologia per la politica è un paradigma di difesa o più che altro uno status a cui non si può rinunciare. Prendiamo ad esempio l’App immuni; ci saranno critiche giuste o sbagliate ma sarà sicuramente un cambiamento radicale nella storia della rappresentazione umana. La tracciatura del nostro sangue, oggi come oggi, può sembrare per alcuni di noi come quello che per San Carlo Borromeo rappresentava il teatro del cinquecento, una liturgia del diavolo, un elemento di disturbo, un’intromissione in una libertà che in fondo però non abbiamo più da anni. La condivisione dei dati sanitari personali utilizzata per combattere il Covid 19, potrebbe diventare presto uno strumento importante di monitoraggio per la cura di molte altre malattie in futuro. Pensiamoci bene: senza prevaricare i diritti regolati dalla privacy, il contact tracing potrà essere utilizzato per velocizzare le informazioni paziente-medico ad esempio nelle anamnesi in pronto soccorso o in materia emergenziale. Bisognerà pero imparare a gestire i dati, la veridicità delle fonti e avere la massima collaborazione dei provider e dei Mass Media “Gli uomini sono agitati e turbati non dalle cose, ma dalle opinioni che hanno delle cose” (Epitteto)
In tutto questo, non dobbiamo dimenticare che molti temi economici sono strettamente legati all’innovazione tecnologica: in un’epoca dove il profitto è l’arma scriteriata che lascia morti giorno per giorno sull’asfalto della nostra condizione umana, c’è il pericolo che il futuro digitale possa liberarsi della forza lavoro. I politici dovranno invece imparare a conquistarla, capendo che globalizzare non significa perdere di vista quelle che sono le minoranze, perché proprio dall’unione di esse si arriva alla democrazia e che l’intelligenza naturale delle risorse umane creerà, riparerà e programmerà ancora per centinaia di anni quella artificiale. Scovare l’untore o magari riprendere gentilmente chi usa la mascherina come una kippah o come una cuffia da dj? L’assistente civico si troverà ad usare un algoritmo per far rettificare un comportamento errato o si limiterà a sfoderare il sorriso magico di Gigi Proietti alias Mandrake in Febbre da cavallo? Intelligenza naturale o artificiale l’importante è che sia etica; tecnologia non solo appannaggio di chi possiede grandi capitali. Per Stephen Hawking l’intelligenza artificiale potrebbe distruggere la società, posti di lavoro, non per malvagità ma per incompetenza. La nostra sarà l’utopia di una generazione, il non-luogo, una terra dove far germogliare il seme della curiosità, della competenza e della condivisione per il bene comune.
… Una parte di me pensa che dovremmo lasciare qui Ryan, ma l’altra dice che tra qualche anno potremmo ripensare e dire che salvare (sul desktop) il soldato Ryan è stata una delle cose migliori che ho fatto…
Libri per l’estate: Paradiso perduto di Henry Miller e non paradiso fiscale come ci verrebbe da dire: storia di Conrad Moricand …nato alle sette o alle sette e un quarto pomeridiane, meraviglia di scrittura e osservazione. Il caso Eddy Bellegueule, scritto da un ragazzo di ventanni, Edouard Lousis: essere motivo di vergogna per costruire un futuro di fierezza. Meraviglioso.
Dimenticavo… un algoritmo potrebbe cristallizzare la classifica di serie A in caso di rialzo dei contagi: in poche parole potrebbe non essere chi è primo in classifica al momento del blocco del campionato a vincere lo scudetto. Si ricorrerà alla matematica per tenere conto di elementi oggettivi, media inglese ecc. In poche parole è come se si dovesse scegliere di uscire una sera con qualcuno,non per la sua simpatia o per il suo charme ma per il numero delle telefonate che vi ha fatto . L’apocalisse dell’intelligenza artificiale avrebbe detto Hawking. Agli stalker l’ardua sentenza.