Aria irrespirabile, comunità intere esposte a sostanze tossiche, incidenza maggiore di tumori e malattie respiratorie. La plastica non è soltanto un problema ambientale legato ai rifiuti che invadono oceani e discariche, ma un’emergenza sanitaria che colpisce milioni di persone.
È la denuncia lanciata da Greenpeace con il nuovo dossier ‘Every Breath You Take’, diffuso alla vigilia dei negoziati internazionali sul futuro della plastica. L’organizzazione ambientalista, sulla base di un’analisi condotta in undici Paesi, accende i riflettori sugli impianti petrolchimici che alimentano la filiera globale della plastica.
La conclusione è netta: oltre 51 milioni di persone nel mondo vivono a meno di 10 chilometri da stabilimenti industriali altamente inquinanti e subiscono ogni giorno i rischi derivanti dalle emissioni in atmosfera.
Gli Stati più colpiti
Lo studio prende in esame aree residenziali vicine agli impianti in Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Svizzera, Paesi Bassi, Corea del Sud, Indonesia, Malesia e Filippine. In ciascun Paese, la convivenza forzata con i colossi della petrolchimica ha un impatto diretto sulla salute delle comunità.
Il quadro più critico, in termini assoluti, riguarda gli Stati Uniti, dove 13 milioni di persone risultano esposte a un livello elevato di inquinamento. Le aree maggiormente interessate si concentrano lungo la fascia del Golfo, in particolare tra Texas e Louisiana, dove gli stabilimenti costellano interi distretti urbani.
Ma è in Europa che l’impatto relativo appare ancora più allarmante. Nei Paesi Bassi, oltre un quarto della popolazione vive a ridosso di fonti di emissione legate alla plastica.
In Svizzera, la percentuale scende all’11%: un dato comunque significativo, se rapportato alla densità demografica e al livello di industrializzazione del Paese. Anche la Corea del Sud figura tra le aree più a rischio, con comunità urbane collocate a brevissima distanza dagli impianti.
Gli effetti transfrontalieri
Il dossier sottolinea inoltre un aspetto spesso sottovalutato: gli effetti transfrontalieri dell’inquinamento petrolchimico. Le emissioni non si fermano ai confini nazionali e in più di un caso hanno conseguenze dirette sulle comunità dei Paesi vicini. Esempi citati da Greenpeace riguardano Austria, Polonia, Belgio e Francia, territori che subiscono l’impatto degli impianti situati oltre frontiera. Un dato che, secondo l’organizzazione, dimostra come la questione della plastica non sia circoscrivibile a singoli Stati, ma richieda una risposta coordinata a livello internazionale.
Il quadro attuale, già grave, rischia di peggiorare nei prossimi anni. L’industria ha infatti in programma una massiccia espansione della produzione globale di plastica fino al 2050. Questo significa, avverte Greenpeace, che nasceranno nuove “zone di sacrificio”: aree residenziali destinate a sopportare il peso delle emissioni e dell’inquinamento, con ricadute sanitarie ed economiche pesantissime.
Tumori e malattie respiratorie
In parallelo aumenteranno i rifiuti da gestire e crescerà l’export verso i Paesi a basso reddito, già oggi tra i più colpiti dallo smaltimento della plastica proveniente dal Nord del mondo. A farne le spese sarà anche il clima: i prodotti monouso, sempre più diffusi, alimentano infatti la crisi climatica e l’inquinamento da microplastiche.
Il rapporto insiste su un punto che spesso passa in secondo piano nel dibattito pubblico: la plastica è una minaccia diretta non solo per l’ambiente, ma per la salute umana.
Le comunità che vivono a ridosso degli impianti sono esposte a un mix di sostanze tossiche che possono provocare malattie respiratorie croniche e aumentare il rischio di tumori. Greenpeace parla di aria irrespirabile per milioni di persone: un contesto in cui l’ingiustizia ambientale si somma a quella sociale, perché i quartieri più colpiti sono spesso quelli abitati da famiglie con minori risorse economiche e quindi con meno possibilità di difendersi.
La richiesta di un Trattato globale
Di fronte a questo scenario, l’associazione ambientalista rilancia la necessità di un Trattato internazionale sulla plastica che sia ambizioso e vincolante. L’obiettivo indicato da Greenpeace è una drastica riduzione della produzione entro i prossimi 15 anni, per proteggere la salute delle persone, il clima e l’ambiente.
La proposta prevede non soltanto limiti stringenti alla produzione, ma anche una revisione dei modelli di consumo basati sull’usa e getta.
L’appello è rivolto alla comunità internazionale, con la consapevolezza che nessun Paese può affrontare da solo un problema dalle conseguenze globali.