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Artigiani, dieci anni di fuga: persi 400mila. In molte province ormai più avvocati che idraulici

Il settore arretra del 22%. Le Marche la regione più colpita, il Sud resiste grazie a Pnrr e Superbonus. Cgia: “Tra dieci anni sarà quasi impossibile trovare chi fa riparazioni”
domenica, 17 Agosto 2025
2 minuti di lettura

Il mondo dell’artigianato italiano arretra. Lo dice unʼanalisi della Cgia. Non si tratta di un rallentamento ciclico, ma di una perdita strutturale che negli ultimi dieci anni ha ridotto di quasi un quarto il numero di titolari, soci e collaboratori familiari. Dal 2014 al 2024 sono scomparsi 400mila artigiani: erano 1,77 milioni, oggi sono 1,37 milioni. Una contrazione del 22%, che equivale a un artigiano su quattro costretto a chiudere. Nemmeno l’ultimo anno si è salvato. Tra il 2023 e il 2024 altri 72 mila hanno abbassato la saracinesca, con una riduzione del 5%. Nessuna regione esclusa: il calo è generalizzato, anche se con intensità diverse.

Il quadro più drammatico è quello delle Marche (-28,1% in dieci anni), seguite da Umbria (-26,9%), Abruzzo (-26,8%) e Piemonte (-26%). In termini di province, nell’ultimo anno Ancona ha segnato la flessione più dura (-9,4%, pari a -1.254 addetti), seguita da Ravenna e Ascoli Piceno (-7,9%), Rimini (-6,9%), Terni e Reggio Emilia (-6,8%). Più contenute le perdite al Sud: Crotone e Ragusa, entrambe al -2,7%.

Sempre più avvocati

Secondo la Cgia il Mezzogiorno ha retto meglio grazie ai cantieri aperti con i fondi del Pnrr e agli effetti del Superbonus 110% sul comparto edilizio. Una ʼstampellaʼ che però rischia di venire meno quando gli incentivi saranno esauriti. Il fenomeno non è solo economico ma culturale. In Italia oggi ci sono più avvocati che idraulici: oltre 233 mila i primi, circa 165 mila i secondi. Il sorpasso, che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile, fotografa la svalutazione del lavoro manuale e gli errori nell’orientamento scolastico. Troppi giovani scelgono percorsi liceali, spinti anche dai docenti, e pochi intraprendono carriere tecniche o professionali.

Il risultato è che già oggi, denuncia la Cgia, “quando si rompe una tapparella, il rubinetto perde acqua o va sostituita un’antenna tv, trovare un artigiano disponibile è difficile. Tra dieci anni potrebbe essere quasi impossibile”.

Le cause

La crisi è legata a vari fattori: l’invecchiamento degli addetti senza ricambio, la pressione burocratica e fiscale, gli affitti cresciuti oltre misura, ma anche l’avanzata della grande distribuzione e dell’e-commerce. Il mutamento dei consumi ha fatto il resto. Scarpe, vestiti e mobili su misura hanno lasciato spazio a prodotti standardizzati, acquistati online e consegnati a domicilio. “Il consumatore medio”, spiegano da Mestre, “preferisce il catalogo digitale al laboratorio artigiano, scegliendo rapidità e prezzo al posto della qualità e della personalizzazione”.

Fusioni e imprese più grandi

Una parte della riduzione è dovuta ai processi di concentrazione successivi alle crisi del 2008, del 2012 e della pandemia. Le fusioni hanno compresso la platea di microimprese, ma al tempo stesso hanno portato a un aumento della produttività e della dimensione media in settori come trasporti, metalmeccanico e installazione di impianti.

Chi cresce

Il quadro non è uniforme. Alcuni comparti sono in controtendenza: crescono parrucchieri, estetisti, tatuatori, ma anche sistemisti informatici, esperti di web marketing, videomaker e social media manager. Buoni numeri arrivano pure dall’alimentare, soprattutto gelaterie, gastronomie e pizzerie da asporto nei centri turistici. La Cgia propone di istituire un “reddito di gestione delle botteghe artigiane” nei comuni sotto i 10 mila abitanti, per sostenere chi apre o mantiene un’attività. L’obiettivo è duplice: frenare lo spopolamento e salvaguardare identità e tessuto urbano. “Nei piccoli centri le botteghe non sono solo imprese: sono luoghi di comunità che danno vita a strade e piazze”.

La politica corre ai ripari

A quarant’anni dalla legge quadro del 1985, il Parlamento lavora a una riforma dell’artigianato. Le ipotesi includono la possibilità per le imprese alimentari di vendere direttamente al pubblico, più flessibilità nella costituzione dei consorzi, un fondo da 100 milioni per facilitare l’accesso al credito e l’innalzamento del tetto occupazionale da 18 a 49 addetti, in linea con l’Europa.

Una revisione attesa dagli operatori, che chiedono però anche un rilancio della formazione professionale. “Negli ultimi 45 anni”, sottolinea la Cgia, “il lavoro manuale è stato trattato come residuale. Se vogliamo invertire la rotta, bisogna rimettere al centro gli istituti professionali, con percorsi di alternanza scuola-lavoro e orientamento mirato”.

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