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Industria italiana in lieve ripresa, ma resta il segno meno rispetto al 2024

Piccoli segnali positivi dall’industria, ma il potere d’acquisto delle famiglie continua a ridursi
giovedì, 7 Agosto 2025
3 minuti di lettura

A giugno 2025 la produzione industriale italiana segna un leggero aumento rispetto al mese precedente. Secondo i dati diffusi dall’Istat, l’indice che misura l’andamento della produzione nei vari settori dell’industria è salito dello 0,2% rispetto a maggio. Un segnale positivo, anche se contenuto, che arriva dopo mesi difficili per il comparto manifatturiero.

Ma il dato annuale racconta una realtà diversa. Rispetto a giugno 2024, la produzione industriale è in calo dello 0,9%. Questo significa che, pur con qualche piccolo segnale di recupero, il sistema produttivo italiano continua a lavorare meno rispetto a un anno fa. Istat sottolinea che, nel secondo trimestre dell’anno (aprile-giugno), la produzione è aumentata solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, confermando una dinamica rallentata.

Petrolio e raffinazione trainano i dati

Nel panorama dei vari settori industriali, uno in particolare si distingue per un incremento marcato: la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati. In questo comparto si registra una crescita del 15,7% rispetto allo stesso mese del 2024. Si tratta di uno dei pochi ambiti in controtendenza rispetto al calo generale e contribuisce in maniera significativa al lieve dato positivo complessivo del mese.

Il resto dell’industria, però, fatica. A maggio, ad esempio, la produzione era calata dello 0,8%. Anche se giugno ha portato un piccolo miglioramento, il bilancio della prima metà del 2025 resta negativo, con una contrazione dell’1,1% su base annua. E tutto questo avviene in un contesto in cui anche il prodotto interno lordo italiano ha segnato un -0,1% nel secondo trimestre, costringendo il governo a rivedere le stime di crescita per l’anno in corso.

Sempre più spese fisse per le famiglie

Nel frattempo, le famiglie italiane si trovano a fare i conti con un’altra realtà: l’aumento costante delle cosiddette spese obbligate. Lo rivela Confcommercio, l’associazione che rappresenta le imprese del commercio e dei servizi, che ha diffuso un’analisi dettagliata sui consumi delle famiglie nel 2025.

Le spese obbligate sono quelle che non si possono evitare, come l’affitto o il mutuo, le bollette, l’assicurazione dell’auto o le spese energetiche. Secondo Confcommercio, queste voci oggi rappresentano il 42,2% della spesa totale di una famiglia italiana. In altre parole, quasi la metà di quello che si spende ogni anno è destinato a coprire costi che non possono essere rinviati o ridotti.

Il confronto con il passato

Il peso delle spese obbligate è aumentato di 5,2 punti percentuali rispetto al 1995. In trent’anni, quindi, le famiglie italiane hanno visto ridursi progressivamente la parte del proprio budget che potevano destinare a spese libere, come vacanze, cultura, abbigliamento o ristoranti.

In valore assoluto, su una spesa media annua per persona pari a circa 22.100 euro, oltre 9.300 euro vanno a coprire costi fissi. La voce più pesante è l’abitazione, che include affitti, rate del mutuo, manutenzione e bollette, e che vale oltre 5.100 euro all’anno. Seguono trasporti e assicurazioni, con circa 2.150 euro, e le spese energetiche, che superano i 1.600 euro.

Prezzi cresciuti più dei redditi

Un altro dato interessante riguarda l’andamento dei prezzi. Secondo lo studio di Confcommercio, tra il 1995 e il 2025 i prezzi delle spese obbligate sono aumentati del 132%, mentre quelli dei beni non essenziali sono cresciuti “solo” del 55%. Questo significa che, nel tempo, i costi fissi sono aumentati molto più rapidamente rispetto al resto.

Un esempio su tutti è l’energia. In trent’anni, i costi legati all’elettricità, al gas e agli altri combustibili sono aumentati del 178%. Anche se nel 2025 si è registrata una lieve frenata, l’incidenza di queste voci sui bilanci familiari resta elevata.

Meno margine per le scelte

Carlo Sangalli, Presidente Confcommercio

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha definito questa tendenza “una dinamica ormai strutturale” e ha spiegato che “riduce sempre di più l’area delle scelte libere di consumo, limitando il potenziale di crescita dell’economia legata alla domanda interna”.

In parole semplici, se le famiglie sono costrette a spendere una quota crescente del loro reddito per coprire i costi fissi, avranno meno risorse da destinare ad altri beni e servizi. Questo si riflette su tutto il sistema economico, perché una domanda interna debole rallenta anche la crescita delle imprese che offrono beni e servizi non essenziali.

Servizi in lieve ripresa, beni in calo

Nel 2025 si osserva una dinamica opposta tra beni e servizi. I consumi legati al tempo libero, alla ristorazione e al turismo mostrano segnali di recupero, con un aumento di circa 134 euro pro capite rispetto all’anno precedente. Al contrario, si registra una riduzione nei consumi alimentari e in altri beni tradizionali, con una flessione media di 57 euro a persona.

Anche questo è un dato da interpretare: da un lato segnala una ripresa delle attività sociali e culturali dopo anni di difficoltà, dall’altro mostra che le famiglie devono operare delle scelte sempre più selettive su cosa acquistare e cosa no. Un equilibrio precario, che risente tanto dell’economia quanto della struttura dei costi.

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