In un momento storico segnato da temperature record, incendi devastanti e eventi meteorologici estremi, l’Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti ha avviato una procedura che potrebbe smantellare la pietra angolare della normativa climatica americana: l’“endangerment finding” del 2009. Questo documento, firmato sotto l’amministrazione Obama, riconosce ufficialmente i gas serra come minaccia per la salute pubblica. Senza di esso, l’EPA perderebbe il fondamento legale per regolamentare le emissioni di CO₂ da centrali elettriche, veicoli e impianti industriali. La proposta di revoca, inviata alla Casa Bianca a fine giugno, non contesta le evidenze scientifiche, ma si basa su un cavillo giuridico: il Clean Air Act non conferirebbe all’EPA l’autorità esplicita per trattare i gas serra come “inquinanti”. La mossa, promossa dal direttore Lee Zeldin sotto l’amministrazione Trump, ha scatenato reazioni durissime. Gina McCarthy, ex direttrice dell’EPA, ha definito l’iniziativa “una pericolosa negazione della realtà”. David Doniger del NRDC ha parlato di “tentativo disperato e legalmente traballante”. Se approvata, la revoca potrebbe innescare un effetto domino: cadrebbero le regolazioni sulle emissioni, gli standard energetici e le protezioni ambientali faticosamente costruite negli ultimi vent’anni. Il processo, tuttavia, è ancora in fase di revisione interagenzia e sarà sottoposto a consultazione pubblica. L’entrata in vigore non è prevista prima del 2026. Nel frattempo, l’Europa osserva con crescente preoccupazione. La Corte permanente di arbitrato dell’Aia ha appena stabilito che gli Stati inadempienti agli obblighi climatici possono essere ritenuti responsabili e obbligati a risarcire le popolazioni colpite. Un precedente che potrebbe pesare anche oltreoceano. La scienza lancia l’allarme, ma la politica sembra voltarsi dall’altra parte. E mentre il pianeta chiede soluzioni, l’EPA rischia di perdere la sua voce.
