Nonostante i dazi. Due parole che sembrano una contraddizione in termini e che invece spiegano l’inaspettato ottimismo del Fondo monetario internazionale. Secondo l’ultima revisione estiva dell’outlook globale, il Pil mondiale crescerà del 3% nel 2025, in leggera accelerazione rispetto alle precedenti stime di primavera.
L’Italia, nel suo piccolo, migliora le prospettive e si porta a +0,5%, un decimale sopra le aspettative di aprile. Poco? Forse. Ma in un contesto globale segnato da tensioni commerciali, guerre doganali e incertezze geopolitiche, ogni segno più ha il sapore della tenuta. La spiegazione del rimbalzo? Paradossale: è la paura dei dazi ad aver stimolato, temporaneamente, una corsa all’export da parte delle imprese. Un ‘anticipo’ di scambi internazionali, una specie di ‘Black Friday globale’, in cui aziende e commercianti si sono affrettati a spedire e importare merci prima che entrassero in vigore nuove barriere tariffarie. Un effetto effimero, forse, ma sufficiente per generare una scossa congiunturale.
L’Italia, che ha nell’export una delle sue vocazioni storiche, beneficia marginalmente di questa dinamica. Il Fondo sottolinea che Roma si muove meglio della Germania (ancora appesantita dalla frenata industriale), ma rimane sotto la Spagna per dinamismo. Il nostro Paese, scrive il Fmi, “resta in una condizione di resilienza fragile”, espressione usata dal Capo economista Pierre-Olivier Gourinchas per descrivere un equilibrio che basta poco a spezzare. L’Eurozona nel suo insieme avanza dell’1%, mentre gli Stati Uniti rallentano al +1,9%, in attesa degli effetti strutturali delle nuove politiche commerciali. La Cina, al contrario, sorprende con un +4,8%, un punto in più rispetto alla scorsa primavera.
L’accordo tra Ue e Usa
A influire sulle revisioni macroeconomiche anche il nuovo accordo commerciale raggiunto il 27 luglio tra la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il numero uno a stelle e strisce Donald Trump. Un’intesa politica, non ancora vincolante, ma che ha evitato un’escalation tariffaria che avrebbe potuto rallentare la crescita globale di almeno lo 0,3% già nel 2026, secondo le stime del Fondo.
L’accordo introduce un tetto massimo del 15% per le tariffe Usa sulle esportazioni europee, comprese auto e componenti, semiconduttori e farmaci, a partire dal 1° agosto. Viene inoltre garantito un ‘trattamento speciale’ per beni strategici come aeromobili, prodotti chimici e farmaci generici, e fissati contingenti tariffari per settori chiave come acciaio e alluminio.
Ma le divergenze nelle interpretazioni tra le due sponde dell’Atlantico non mancano. Le versioni rilasciate da Bruxelles e dalla Casa Bianca differiscono in alcuni passaggi chiave, soprattutto su temi sensibili come il digitale, le norme fitosanitarie e la difesa dell’agroalimentare.
“Nessun passo indietro sulle nostre regole”
“Non cambiamo le nostre regole e non tocchiamo il nostro diritto di regolamentare autonomamente nello spazio digitale”, ha chiarito Olof Gill, Portavoce della Commissione europea per il Commercio. “Il nostro sistema alimentare, sanitario e di sicurezza apprezzato e affidabile resta pienamente in vigore”. L’Unione europea, ha aggiunto, non introdurrà dazi sull’uso della rete, ma questo non significa cedere terreno sul fronte normativo.
Le differenze emerse sulle barriere non tariffarie sono tutt’altro che marginali. Per Washington, la cooperazione riguarderà anche la semplificazione dei certificati per latte e carni suine, mentre Bruxelles preferisce parlare genericamente di collaborazione su “misure sanitarie e fitosanitarie”. Stesso discorso per l’acciaio: secondo gli Usa, le tariffe restano invariate, mentre l’Ue parla esplicitamente di taglio del 50% rispetto ai livelli attuali.
“Faremo ciò che serve”
Intanto nel governo italiano si segue con attenzione lo sviluppo dell’intesa. Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha assicurato che “ci parliamo tutti i giorni, c’è una task force operativa per seguire gli interessi delle imprese”. E ha aggiunto: “Faremo tutto ciò che serve per tutelare i settori più esposti”. Per Tajani, la priorità è “capire cosa succede nei dettagli. Molti punti dell’accordo sono ancora da chiarire”. Una prudenza condivisa anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che parla di “un’intesa politica importante che ha evitato l’escalation”, ma sottolinea che “siamo solo al primo passo. I veri effetti si vedranno nei prossimi mesi”.
È bene precisare che quello tra Trump e von der Leyen è un accordo politico, non ancora giuridicamente vincolante. Le due parti hanno convenuto che nelle prossime settimane saranno avviate negoziazioni formali, con l’obiettivo di rendere effettivi i contenuti dell’intesa e fissare regole comuni in settori sensibili. Il testo prevede inoltre misure per rafforzare la sicurezza economica e la cooperazione sulle catene di approvvigionamento, oltre a un piano da 750 miliardi di dollari per garantire l’accesso Ue a energia strategica (gas liquefatto, petrolio, nucleare) dagli Stati Uniti. Non manca nemmeno un impegno su microchip e semiconduttori, con 40 miliardi di euro di acquisti europei di chip AI entro il 2028.