I principi costituzionali del giusto processo, della ragionevole durata dello stesso e della certezza della pena sono messi a dura prova dalle disfunzioni del sistema giudiziario italiano. Ciò vale a maggior ragione quando sul banco degli imputati finiscono i pubblici funzionari accusati di presunti fatti illeciti commessi nell’espletamento delle loro attività, e quindi, di reati contro la pubblica amministrazione.
La maggior parte dei procedimenti in questione giungono a prescrizione nelle primissime fasi. Ciò priva il dipendente pubblico della possibilità di approntare ogni utile difesa, costringendolo non solo a subire le lungaggini processuali ma altresì gravi conseguenze economiche e morali.
Un esito del genere, per quanto paradossale, è penalizzante anche sotto l’aspetto del rimborso delle spese legali. La normativa in materia prevede, infatti, che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato.
La ratio legis è quella di tenere indenni i pubblici dipendenti che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse delle amministrazioni dalle spese legali sostenute per difendersi, qualora non vengano condannati.
Ma è proprio qui che, come si suole dire, casca l’asino. La norma, nella odierna interpretazione, tuttavia, esclude dalla possibilità di rimborso i dipendenti pubblici che vedono concludersi il procedimento penale per prescrizione, anche se questa è intervenuta prima dell’apertura del dibattimento o, peggio ancora, della stessa udienza preliminare.
Sul punto l’onorevole Edmondo Ciriello di Fratelli d’Italia ha presentato una interrogazione ai ministri della Giustizia, Bonafede, e dell’Interno, Lamorgese, sottolineando il fatto che “ogni anno centinaia di migliaia di procedimenti terminano con dichiarazioni di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, un milione e mezzo nell’ultimo decennio e, più precisamente, nel 75 per cento dei casi la prescrizione matura prima della sentenza di primo grado”.
Per il deputato, che è un colonnello dell’Arma dei Carabinieri, “tale situazione alimenta la burocrazia difensiva, per cui i dipendenti pubblici sono convinti che solo “non facendo” possono evitare rischi, bloccando di fatto il Paese. Di qui l’atto di sindacato ispettivo per sapere se i due esponenti del Governo siano “a conoscenza dei fatti” e, considerata la gravità degli stessi, “quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intendano, adottare al fine di garantire massimi livelli di efficienza giudiziaria”.
Ciriello, inoltre, sollecita la diffusione dei dati aggiornati degli ultimi cinque anni in relazione ai procedimenti per “abuso d’ufficio”, invitando, attraverso la consultazione delle banche dati, a rendere noti il numero dei soggetti denunciati, per genere, per regione e per fasce di età, oltre che i dati statistici relativi al numero di soggetti per i quali il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione, differenziando tra archiviazione nel merito e per prescrizione.