L’ex presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, ha reagito con fermezza alla decisione del Senato di revocargli l’immunità parlamentare, definendo le accuse di tradimento e complicità con i ribelli M23 come un attacco politico orchestrato dal governo di Félix Tshisekedi. La revoca dell’immunità, approvata con 88 voti favorevoli e 5 contrari, apre la strada a un procedimento giudiziario contro Kabila, che ora rischia di essere perseguito dalla giustizia militare. Il governo lo accusa di aver fornito supporto logistico e politico al gruppo ribelle M23, responsabile della recente conquista di territori strategici nell’est del paese, aggravando la crisi con il Ruanda. Kabila, che ha governato il Congo dal 2001 al 2019, ha respinto con decisione le accuse, sostenendo che il suo unico intento era contribuire alla stabilità nazionale e alla risoluzione del conflitto con l’M23. Il suo partito, il PPRD, è stato sospeso e i suoi beni confiscati, alimentando il sospetto che questa mossa faccia parte di una strategia per neutralizzare l’opposizione. L’ex presidente ha annunciato l’intenzione di tornare nel paese per difendersi, nonostante le incertezze sulla sua situazione attuale. Il suo entourage ha affermato che Kabila non si lascerà intimidire e che la sua esclusione dalla politica rappresenta un “processo politico mascherato”. Mentre il governo di Tshisekedi cerca di consolidare il proprio potere, la revoca dell’immunità di Kabila potrebbe avere ripercussioni significative sugli equilibri politici e sulla stabilità regionale. La comunità internazionale segue con attenzione gli sviluppi, consapevole che la crisi congolese potrebbe estendersi ben oltre i confini del paese.