La politica costa, la ricerca va finanziata, sostengono, da sempre, sia politici e sia ricercatori. Non ci sono soldi mai sufficienti.
Il cittadino, dal canto suo, fruitore di ambo i servizi, afferma di essere scontento sia della politica e sia della ricerca per la salute.
E non gli si può dare assolutamente torto, visto quanto accade nella politica, sempre in fermento, in continua ricerca di equilibri, per non dire di POLTRONE con lotte indestine, accuse infantili e linguaggi spesso offensivi, se non fosse per le attenuanti concesse ai singoli parlamentari dalla costituzione (art. 68) che non li rende punibili” per le opinioni espresse ed i voti dati”.
Neanche la questione dell’emergenza da coronavirus è riuscita a stabilire un clima di comuni intenti per rimediare a quelle carenze di servizi sanitari che, in effetti, sono state create proprio da “volontà e mano politica”. Anzi le accuse, da nord a sud, si sono inasprire. Chi chiede, infatti, un nuovo governo (di emergenza, di unità nazionale), chi addirittura auspica, nella prossima primavera elezioni politiche anticipate, alla soglia del “semestre bianco” del Presidente della Repubblica.
Ma quale saggezza regna nella mente dei nostri politici i quali, come afferma l’art. 67 della nostra costituzione ” rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato”?
Sono due mesi circa durante cui la popolazione vive segregata in casa, senza lavorare, per sopperire alle carenze sanitarie. La sanità ha mostrato tutti i suoi lati deboli, creati da una classe politica, affaccendata in altri campi. Eppure la sanità è stato sempre un “campicello” molto redditizio e lo abbiamo visto e seguito nelle numerose inchieste, processi e condanne.
La politica costa perché costa la democrazia, la nostra libertà, che ora sta soffrendo per un bene superiore, la vita di ciascuno di noi.
Ma la fonte da cui promanano le risorse è sempre l’uomo, il lavoratore, la lavoratrice, ognuno col proprio dovere come impone l’art. 53 della già citata costituzione.
Ora, in questi momenti di magra, saranno problemi per rimpinguare le casse dello Stato e dei partiti per assicura democrazia e servizi.
In autunno tra settembre e dicembre vi sono in programma (perché sospese per l’epidemia) elezioni amministrative di ben 7 (sette) regioni, di 18 capoluoghi di provincia e di oltre mille comuni d’Italia, nonché il referendum – di portata Nazionale – sulla riduzione del numero dei parlamentari, il cui fine, (purtroppo a danno rappresentanza come sostengono numerosi costituzionalisti e con conseguente compressione del raggio d’azione della democrazia) palesato dai sostenitori del referendum, è quello di risparmiare risorse.
Il rapporto costi/benefici non è ancora ben chiaro (per alcuni sembra paragonabile al prezzo di un caffè al giorno per ogni elettore).
Quante volte i politici vogliono che ciascuno elettore vada alle urne, con dispendio di tempo e denaro, per gli adempimenti elettorali suddetti?
Possiamo permetterci di stare, con una epidemia – tra l’altro – ancora in atto, per più mesi in campagna elettorale?
Una saggia ed auspicabile decisione unanime sarebbe quella di stabilire una sola data, una ELECTION DAY.
Scelte diverse manderebbero su tutte le furie gli elettori, compresa la loro astensione.