lunedì, 24 Marzo, 2025
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Export Usa, rischio Sud: Sardegna al 95,6% di fragilità nell’export, Molise 86,9%, Sicilia 85%

L’indice di concentrazione merceologica rivela l’esposizione del Mezzogiorno alle nuove barriere commerciali. Solo la Puglia regge il confronto con il Nord

Il ritorno sulla scena internazionale del protezionismo commerciale, rilanciato negli anni scorsi dall’amministrazione Trump e mai del tutto abbandonato, potrebbe avere effetti pesanti sull’economia italiana, in particolare sulle regioni del Mezzogiorno. A essere sotto esame non è solo la quantità delle esportazioni, ma soprattutto la loro qualità e varietà. In un contesto internazionale dove dazi e barriere potrebbero estendersi oltre i metalli (come accaduto con acciaio e alluminio) il vero punto debole del Sud Italia è l’eccessiva concentrazione delle esportazioni in pochi settori merceologici. Secondo uno studio realizzato dalla Cgia di Mestre, il rischio maggiore ricade su quei territori dove l’export è dominato da pochi prodotti. L’indice di diversificazione analizzato pesa il valore delle prime 10 categorie merceologiche sul totale delle esportazioni regionali: più è alto, più l’economia locale è vulnerabile alle turbolenze globali.

Sardegna, Molise e Sicilia

A guidare questa classifica di fragilità c’è la Sardegna, con un indice di diversificazione del 95,6%. Qui l’export è praticamente monopolizzato dai prodotti della raffinazione del petrolio, rendendo l’isola estremamente sensibile a eventuali dazi su questo settore. Subito dopo troviamo il Molise (86,9%), le cui esportazioni si concentrano su prodotti chimici, autoveicoli e da forno, e la Sicilia (85%), anch’essa legata alla raffinazione petrolifera. In tutte queste realtà, un’eventuale restrizione sui principali beni esportati avrebbe un impatto immediato e profondo sull’economia locale. L’esportazione, in questi casi, non è un polmone articolato e flessibile, ma una monocultura industriale.

Nel panorama del Mezzogiorno, brilla la Puglia, che con un indice di diversificazione del 49,8% si piazza addirittura al terzo posto a livello nazionale tra le regioni meno a rischio. Un risultato che testimonia una maggiore articolazione dell’offerta produttiva e la capacità di rispondere con maggiore resilienza a eventuali contraccolpi sul mercato internazionale.

Lombardia e Veneto

Se il Sud rischia, il Nord conferma la propria solidità anche sul fronte dell’export. La Lombardia, con un indice di appena il 43%, è la regione più diversificata d’Italia, seguita dal Veneto (46,8%), dal già citato caso pugliese, dal Trentino-Alto Adige (51,1%), dall’Emilia-Romagna (53,9%) e dal Piemonte (54,8%). La varietà merceologica è una garanzia di stabilità: anche in presenza di dazi su singole categorie, queste regioni dispongono di un tessuto industriale in grado di spostare l’asse dell’export verso altri comparti.

L’export italiano rallenta

Il 2024 si chiude con un leggero calo dell’export italiano: 623,5 miliardi di euro, in calo di 2,4 miliardi rispetto al 2023 (-0,4%). Un rallentamento fisiologico dopo anni di crescita, ma il confronto con il 2019, anno pre-pandemico, racconta un’altra storia: +30%, pari a 143 miliardi in più. La locomotiva resta la Lombardia, con 163,9 miliardi, seguita da Emilia-Romagna (83,6) e Veneto (80,1). Ma la vera sorpresa è la Toscana, che raggiunge i 63 miliardi, superando il Piemonte e conquistando il quarto posto. Merito di due settori trainanti: i medicinali e la gioielleria.

La classifica delle province italiane più attive sui mercati esteri vede Milano al comando con 57,9 miliardi, seguita da Torino (25,7) e, a sorpresa, da Firenze (24,5). Il capoluogo toscano ha beneficiato dell’exploit dei prodotti farmaceutici, diventando un attore protagonista nell’export nazionale. Vicenza (22,7 miliardi), Bergamo (20,6) e Brescia (20,1) completano la top 6, confermando la leadership delle aree del Nord nella capacità di produrre e vendere sui mercati internazionali.

I prodotti più esportati

Nel 2024, il prodotto italiano più esportato al mondo è stato il medicinale, con 50,8 miliardi di euro (+10,3% sul 2023). Seguono le macchine di impiego generale (34 miliardi), i motori e turbine (29 miliardi), le macchine speciali per impieghi industriali (24 miliardi) e gli autoveicoli (23,8 miliardi), in forte calo rispetto all’anno precedente (-16,7%). Da segnalare l’ottima performance del settore gioielli e pietre preziose, con 15,9 miliardi di export e una crescita record del 38,9%.

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