Una lezione di economia, agricoltura e civiltà. Andando, in pratica, contro le politiche americane di Donald Trump e a quei dazi che rischiano davvero di mettere in crisi il settore dell’export. E dunque ieri Sergio Mattarella è intervenuto al 44° Forum della Cultura dell’Olio e del Vino, trasformando l’occasione in un manifesto a difesa del libero commercio internazionale e del valore strategico dell’agroalimentare italiano. In un passaggio chiave del suo intervento, il Presidente della Repubblica ha messo in guardia contro il ritorno di logiche protezionistiche, che definisce “immotivate” e “dal sapore incomprensibilmente autarchico”. Nuove nubi sembrano addensarsi all’orizzonte, portatrici di chiusura dei mercati che danneggerebbero in modo importante settori di eccellenza come quelli del vino e dell’olio”, ha ammonito il Capo dello Stato. “Commerci e interdipendenza sono elementi di garanzia della pace”, ha aggiunto, ricordando come nella storia le contrapposizioni tra mercati ostili abbiano condotto a conflitti ben più gravi.

Mattarella ha parlato con convinzione del ruolo che olio e vino, “eccellenze della nostra esperienza produttiva”, hanno assunto nel rappresentare l’Italia nel mondo: non solo comparti economici di successo, ma emblemi del modello di vita italiano, al pari della cultura, del design e della tecnologia. “Contribuiscono alla domanda di Italia nel mondo”, ha aggiunto Mattarella, sottolineando i numeri di un settore che, nel 2024, ha registrato 14 miliardi di euro per il vino imbottigliato e quasi 8 miliardi di export, di cui il 90% legato a denominazioni di qualità. L’olio d’oliva ha raggiunto 3 miliardi di euro di export, confermando il nostro Paese come secondo produttore mondiale.
“Produrre è abitare un luogo”
Un passaggio particolarmente toccante dell’intervento ha riguardato il legame tra le produzioni agricole e i territori: “Produrre significa abitare un luogo, averne cura”, ha spiegato il Presidente, che ha esaltato la funzione sociale e ambientale dell’agricoltura. Ha citato le donne imprenditrici, i giovani tornati alla terra, il ruolo delle cooperative e dei Consorzi di tutela (oltre trecento in Italia) che garantiscono qualità, salubrità e promozione internazionale. Ha ricordato come i 330.000 occupati nella filiera del vino e i 110.000 in quella dell’olio siano “testimonianza della vitalità della società civile italiana”, mentre il lavoro di generazioni di agricoltori ha saputo trasformare settori un tempo marginali in motori di sviluppo e di innovazione.
Non sono mancati i riferimenti alle minacce contemporanee. Mattarella ha evocato la ferita ancora aperta della Xylella, i cambiamenti climatici che affliggono il settore e il rischio concreto che alcuni, anche oggi, tendano a sottovalutare questi pericoli. “L’innovazione non è nemica dell’agricoltura”, ha affermato con fermezza. “È, invece, decisivo il valore delle tutele unitamente all’innovazione. Prendere scorciatoie, superare le tutele, significa ostacolare il progresso”.
Soldati, Desana e il valore della cultura rurale
Mattarella ha voluto anche rendere omaggio a Paolo Desana, il Senatore piemontese promotore nel 1963 della legge sulle denominazioni vinicole, e citare Mario Soldati, il grande narratore del vino e dei territori, per ribadire come il legame tra un prodotto e il suo luogo d’origine sia inscindibile: “Il vino – diceva Soldati – si gusta e si capisce soltanto entrando in confidenza con l’ambiente dove è nato”. In questa riflessione culturale, l’ulivo assume per il Presidente un significato ancora più profondo: simbolo della civiltà mediterranea, emblema di “pace, di serena longevità rispetto alle impazienze del presente”.
Nel passaggio più tecnico del suo discorso, il Capo dello Stato ha tracciato l’evoluzione del settore agricolo italiano come storia di successo comunitario, a partire dall’articolo 44 della Costituzione italiana fino all’articolo 39 del Trattato di Roma del 1957, che ha sancito l’inizio della politica agricola comune in Europa. “La ‘Dop economy’ oggi vale circa 20 miliardi di euro, il 20% dell’intero fatturato agroalimentare con 856 prodotti italiani riconosciuti e tutelati a livello europeo, più di qualsiasi altro Paese dell’Unione”.
No all’autarchia
Concludendo il suo intervento, Mattarella ha ribadito che il ritorno all’auto-consumo, come pure le politiche di chiusura commerciale che si profilano a livello globale, non solo non sono la soluzione, ma rischiano di riportare l’Italia indietro “all’agricoltura dei primi anni del Novecento”. “Misure protezionistiche danneggerebbero le nostre filiere, già esposte al pericolo dell’italian sounding”, ha spiegato, con riferimento ai prodotti contraffatti che imitano l’origine italiana all’estero. “Non possiamo immaginare che i consumatori di altri continenti rinuncino con leggerezza a sapori che hanno imparato ad apprezzare. Sarebbe un danno per tutti”.
Quindi, ha ricordato come l’apertura dei mercati non sia soltanto una strategia economica, ma un presidio di stabilità e di pace: “I mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace. La contrapposizione tra economie chiuse ha spesso condotto a conflitti. Non possiamo permetterci di ripetere gli errori del passato”.
Il Presidente ha chiuso il suo discorso con parole di gratitudine e incoraggiamento per il mondo dell’agroalimentare italiano: “Siete parte di ciò che l’Italia oggi sa proporre con orgoglio. Le istituzioni devono essere al vostro fianco, perché il vostro lavoro qualifica la presenza italiana nel mondo”.