venerdì, 21 Marzo, 2025
Cultura

I limiti del pacifismo? La lezione dimenticata di Romain Rolland

Il grande intellettuale francese fu, durante la prima Guerra mondiale, la voce più autorevole del pacifismo europeo. Ma poi, a partire dal 1933, dovette riconoscere che di fronte al nazismo la non-violenza, semplicemente, non basta.

Il 15 marzo 2025 migliaia di persone si sono radunate a Roma per una grande manifestazione pacifista che, facendo appello ai valori europei di cultura e diritto, si opponeva al piano di riarmo dell’Ue. Gli slogan della protesta riflettevano un desiderio sincero di pace, ma ignoravano una domanda cruciale: come si può fermare un’aggressione senza strumenti di difesa? L’esperienza di Romain Rolland, al suo tempo intellettuale di grandissima fama e influenza, ci offre un’importante lezione su cui riflettere. Anche lui, pacifista convinto, si trovò a dover riconoscere, seppur a malincuore, che in alcune circostanze il rifiuto della guerra può trasformarsi in complicità con l’aggressore. La manifestazione di Roma, pur animata da nobili intenti, rischia di cadere nello stesso errore: un pacifismo incondizionato può diventare, paradossalmente, un ostacolo alla pace stessa e alla libertà dei popoli.

Da pacifista intransigente a nemico dei fascismi

Nel cuore della Prima guerra mondiale, Romain Rolland pubblicava Au-dessus de la mêlée (al di sopra della mischia), un manifesto pacifista e un appello alla coscienza europea che gli valse il biasimo dei più e l’isolamento intellettuale, culminato con l’autoesilio in Svizzera. Nel 1915, mentre le nazioni si dilaniavano in trincee fangose, Rolland, praticamente da solo, difendeva l’ideale di un’Europa che avrebbe dovuto resistere alla follia nazionalista attraverso il dialogo e la cultura come ponte fra i popoli europei. Un secolo dopo, di fronte alla guerra in Ucraina e al riarmo dell’Europa, è forse possibile ispirarsi ancora alla sua lezione: Rolland era un pacifista autentico, ma non cieco, e come lui, oggi potremmo dover riconoscere i limiti del pacifismo di fronte all’aggressione.
Biografo e amico di Gandhi, Rolland credeva fermamente nella forza rivoluzionaria della non-violenza. Tuttavia, con l’ascesa del nazismo, comprese che il pacifismo puro rischiava di fare il gioco dell’oppressore a danno degli aggrediti. Nel 1933, in una lettera indirizzata a un sostenitore di Hitler, scrisse: “Je suis l’ennemi de tous les fascismes” (“Sono nemico di tutti i fascismi”). Durante la guerra civile spagnola, sostenne la necessità di un intervento militare per fermare Franco, un’ulteriore dimostrazione della sua maturazione politica. Ma la consapevolezza dei limiti del pacifismo venne rafforzata allo scoppio della Seconda guerra mondiale. L’aggressività nazista aveva mostrato a Rolland che la pace non si mantiene con le buone intenzioni quando l’altro lato brandisce il pugnale e rifiuta ogni posizione etica. Nel suo Quinze ans de combat (1919-1934), raccolta di scritti politici pubblicata nel 1935, emerge chiaramente il suo dilemma: come difendere la civiltà – oggi diremmo i ‘valori europei’ – senza tradire l’ideale pacifista su cui l’Unione si è fondata?

Oggi: il pacifismo alla prova della realtà

Nel febbraio 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina, scatenando una guerra che ha ridefinito l’assetto geopolitico europeo. Per decenni, in Europa si è parlato di disarmo e diplomazia come unica via per la pace. L’Italia, addirittura, ha sancito il rifiuto della guerra (ma, si badi bene, “come strumento di offesa”) nella sua costituzione antifascista. Tuttavia la brutalità dell’aggressione di Putin e la posizione isolazionista di Trump mettono in crisi questa visione: possiamo essere pacifisti davanti a un esercito che bombarda città e un regime che deporta bambini per ‘russificarli’? L’Europa, seguendo un percorso simile a quello di Rolland, ha iniziato a riconoscere che, senza difesa, la pace è una scommessa rischiosissima.
Oggi, mentre si discute di autonomia militare europea e di un’eventuale emancipazione dall’ombrello militare della NATO, ci troviamo di fronte allo stesso bivio di Rolland. L’UE, storicamente fautrice della pace attraverso l’economia e il diritto, ha deciso di investire in armamenti, a scapito di sanità e istruzione. Una lezione durissima. È un tradimento dei suoi valori fondanti o una necessità storica? Rolland, con il suo esempio, suggerisce una risposta scomoda: la pace è il fine, ma a volte la difesa è il mezzo inevitabile.
Romain Rolland ci insegna che il pacifismo non è dogma, ma un percorso pieno di ostacoli. Non sta a noi dare una risposta netta: riarmo si o riarmo no? È importante tuttavia indicare con onestà intellettuale la complessità del dilemma che il grande scrittore francese affrontò in prima persona. Ignorarlo sarebbe un errore storico.

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