Il conflitto in Medio Oriente continua a intensificarsi su più fronti. Per la prima volta dal 2002, Israele ha schierato carri armati in Cisgiordania, in un’escalation che ha sollevato preoccupazioni a livello internazionale, per sgomberare i campi profughi di Jenin, Tulkarm e Nur a-Shams nell’ambito dell’operazione “Muro di ferro”, lanciata il 21 gennaio per colpire quelle che l’IDF definisce “infrastrutture terroristiche”. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha annunciato che l’esercito resterà nei campi profughi evacuati per almeno un anno con l’ordine “di non permettere il ritorno dei loro abitanti né la recrudescenza del terrorismo”. “Non torneremo alla realtà del passato. Continueremo a smantellare i battaglioni terroristici sostenuti dall’Iran”, ha dichiarato Katz. Finora, circa 40.000 palestinesi sono stati costretti a lasciare i campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams. In questa escalation, il presidente della Knesset Amir Ohana è arrivato a proporre ufficialmente l’annessione della Cisgiordania, affermando che gli insediamenti israeliani non sono un ostacolo alla pace, ma l’unica via per garantire la sicurezza di Israele. “Queste terre bibliche appartengono al popolo di Israele e devono essere sotto la nostra sovranità”, ha dichiarato Ohana, elogiando l’ex presidente americano Donald Trump come “il migliore amico di Israele”.
Rinvio del rilascio degli ostaggi
Parallelamente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, suscitando forti reazioni internazionali e in casa, ha annunciato il rinvio della scarcerazione di 620 detenuti palestinesi a causa mancato rispetto, da parte di Hamas, dell’impegno a non spettacolarizzare la liberazione degli ostaggi israeliani. Da una parte le stesse forze di sicurezza israeliane avevano sconsigliato il blocco delle scarcerazioni voluto dal governo, temendo che potesse compromettere il ritorno dei rapiti. Dall’altra il rinvio ha aumentato le tensioni con gli alleati internazionali, con diverse organizzazioni umanitarie che hanno criticato la decisione di utilizzare i prigionieri come leva diplomatica. Anche l’ONU ha espresso preoccupazione per l’escalation della crisi, sottolineando il rischio di un deterioramento ulteriore della situazione umanitaria nei territori palestinesi. Tuttavia si legge in una nota dell’ufficio del premierisraeliano, che “non rilasceremo prigionieri fino a quando non sarà garantita la liberazione dei prossimi ostaggi senza cerimonie degradanti”. Hamas ha risposto con un duro comunicato, accusando Israele di mettere in pericolo l’intera tregua e spiegando che “la cerimonia di consegna non è un insulto nei confronti dei prigionieri, ma riflette piuttosto il nobile trattamento umano che hanno ricevuto” e chiedendo l’intervento dei mediatori per garantire il rispetto degli impegni presi.
Funerali di Hassan Nasrallah
Intanto a Beirut, decine di migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di Hassan Nasrallah, leader storico di Hezbollah, ucciso in un raid israeliano. La cerimonia, organizzata dopo il ritiro quasi completo delle truppe israeliane dal sud del Libano, è stata segnata da nuove tensioni. Jet da combattimento israeliani hanno sorvolato Beirut a bassa quota durante il funerale, provocando l’ira della folla che ha scandito slogan contro Israele e gli Stati Uniti. Israele ha inoltre bombardato diverse aree al confine tra Libano e Siria, sostenendo che Hezbollah stesse tentando di contrabbandare armi attraverso i valichi di frontiera. L’Iran ha reagito con durezza, con la Guida suprema Ali Khamenei che ha dichiarato: “La resistenza continuerà finché non avrà raggiunto i suoi obiettivi”. Hezbollah, dal canto suo, ha ribadito il proprio rifiuto di qualsiasi “controllo tirannico degli Stati Uniti sul Libano”. Il successore di Nasrallah, Naim Qassem, ha giurato fedeltà alla linea del leader assassinato, promettendo che la “resistenza non si fermerà”. La situazione resta tesa, con il rischio di una nuova escalation tra Israele e il gruppo filo-iraniano.