Più ci avviciniamo alla cosiddetta “fase due” e più aumentano gli interrogativi e i dubbi sulla tempestività o meno della risposta da parte delle autorità nazionali. A gettare benzina sul fuoco è una interrogazione al presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, e al ministro della Salute, Roberto Speranza, presentata dal deputato Pierantonio Zanettin di Forza Italia. Cerchiamo di capire il perché.
Nel settembre 2019 un gruppo di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha pubblicato un report di 48 pagine denominato “Un mondo a rischio” che studiava le pandemie del passato e offriva spunti per affrontare quelle del futuro.
In uno dei passaggi del documento in questione si legge: “la malattia prospera nel disordine, le epidemie sono in aumento e lo spettro di una emergenza sanitaria globale incombe su di noi”. Il tutto sulla base di pubblicazioni scientifiche di varie riviste che riguardavano le vecchie epidemie o i modelli di diffusione di nuove epidemie; segnatamente, lo studio veniva condotto da 15 esperti del Gpmb (Global Preparedness Monitoring Board) nominati dall’Oms e si basava sui dati di altre pandemie, come la febbre suina H1n1 del 2009 e l’epidemia di Ebola, ancora ampiamente diffuse in Africa; tutti virus che hanno provocato epidemie ad alto impatto e potenzialmente rapida diffusione.
Secondo Zanettin “di questo studio anche il sistema sanitario nazionale avrebbe dovuto tener conto, in quanto era evidente che non sarebbe stato in grado, così come strutturato, di gestire un grande afflusso di pazienti infettati da un agente patogeno respiratorio capace di una facile trasmissibilità e di una elevata mortalità, com’è sotto gli occhi di tutti: il coronavirus”.
A riprova del suo assunto l’avvocato cassazionista “prestato” alla politica cita un ulteriore passaggio del Report, dove si afferma chiaramente che “i governi, gli scienziati, i sistemi sanitari di molti Paesi stanno affrontando un crollo della fiducia pubblica che minaccia la loro capacità di funzionare in modo efficace”.
Posto che l’obiettivo degli esperti dell’Oms nei rapporti redatti annualmente – e, in particolare, nel documento presentato nel settembre 2019 – è quello di mettere in guardia dai rischi su larga scala di eventuali epidemie gli scienziati, ma soprattutto i responsabili della sanità pubblica dei diversi Paesi, appare “legittimo chiedersi se il direttore generale della prevenzione sanitaria in Italia, Claudio D’Amario e i suoi predecessori abbiano letto e preso in considerazione questo segnale di allarme, attuando le necessarie contromisure”.
Quello che è successo mesi dopo, e cioè le prime le prime informazioni sulla epidemia che si stava diffondendo in Cina nella città di Wuhan; la scoperta dei due turisti cinesi in Italia positivi al coronavirus, il “paziente zero”, la tragedia lombarda è storia nota.
Il parlamentare si è rivolto al premier ed al ministro della Salute per sapere “se a partire dal settembre 2019 le autorità sanitarie nazionali abbiano riflettuto su come migliorare il sistema sanitario nazionale, per gestire un grande afflusso di pazienti infettati da un agente patogeno respiratorio capace di una facile trasmissibilità e di un’elevata mortalità come il coronavirus”, atteso che “è compito della direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute occuparsi della prevenzione delle malattie e della protezione e promozione della salute, favorendo programmi e campagne di educazione sanitaria e di prevenzione nei confronti delle patologie infettive (e non) di maggior rilievo sociale”.
Al di là delle (eventuali) responsabilità dei singoli resta una domanda alla quale ci si augura che il presidente Conte e il ministro Speranza diano una risposta chiara: l’allarme lanciato dall’Oms a settembre è stato sottovalutato?