venerdì, 5 Luglio, 2024
Esteri

Ambasciata di Israele in Vaticano: rammarico per il documento su Gaza

Nella Striscia gli sfollati come pacchi postali: ora sono tutti nel centro

Sono circa 250.000 persone che hanno lasciato la città di Khan Younis, a sud della Striscia, in seguito ai nuovi ordini di evacuazione emessi da Israele, mentre la città è sottoposta a nuovi bombardamenti. Molti degli sfollati sono fuggiti verso la costa ad ovest ha detto la portavoce dell’Unrwa, Louise Wateridge, durante una conferenza stampa telematica per i media accreditati dalle Nazioni Unite a Ginevra: “Abbiamo visto molte famiglie impacchettare le loro cose e cercare di uscire dall’area”.

Gli attacchi e le evacuazioni, spiega Wateridge, in un’area in cui molte persone sono venute a cercare rifugio durante le offensive a Rafah, più a sud, “sono un altro colpo devastante per la risposta umanitaria”, poichè le popolazioni “sono costrette a spostarsi ancora e ancora”. La maggioranza di palestinesi di Gaza sono ora nelle “zone umanitarie” designate dalle autorità israeliane. Lo conferma anchel’esercito secondo cui circa 1.9 milioni su 2.3 milioni di palestinesi si trovano nell’area di Al-Mawasi sulla costa della Striscia, alcuni altri nelle vicinanze di Khan Yunis e a Deiral-Balah nella parte centrale di Gaza. Poche centinaia di migliaia – secondo la stessa fonte – rimangono nel nord della Striscia e solo 20.000 nell’area di Rafah. Fino all’operazione di terra dell’Idf avviata a maggio, a Rafah, la città più a sud della Striscia, c’erano 1.4 milioni di persone.

Sulla “guerra giusta”

E’ rammaricato l’ambasciatore di Israele per il documento dell’Assemblea degli Ordini Cattolici di Terra Santa. Un documento, spiega l’ambasciatore israeliano in Vaticano, che, con “pretesti religiosi e astuzie linguistiche, non ha altro che opporsi al diritto di Israele di difendersi dai suoi nemici che dichiaratamente intendono porre fine alla sua esistenza”. L’Ambasciata sulla cosiddetta “Guerra di Gaza”, ha ritenuto necessario sottolineare, contrariamente al testo del documento, gli obiettivi dell’operazione nella Striscia di Gaza, fin dal primo giorno erano chiari: porre fine al dominio di Hamas in questo territorio e garantire che atrocità come quelle commesse il 7 ottobre non si ripetessero.

Il documento al quale si riferisce l’ambasciata israeliana riporta l’allarme dei cristiani per l’uso improprio di dell’espressione “guerra giusta” che “viene sempre più utilizzata come arma per giustificare la violenza in corso nella Striscia.” Le guerre giuste possono esistere solo in casi rari e, inoltre, secondo la dottrina cattolica, “il ricorso all’uso delle armi è legittimo solo in risposta a una aggressione che ha provocato danni e ingiustizie gravi e durature, e quando tutte le altre vie per prevenire i danni e porvi fine si sono dimostrate impraticabili e inefficaci; la reazione armata deve inoltre avere ragionevole prospettiva di successo, e non deve provocare distruzioni e sofferenze a persone innocenti che siano maggiori del male da eliminare.”

Dopo guerra con Anp

Da Tel Aviv, il premier Netanyahu sembrerebbe aver cambiato posizione sulla sua contrarietà a un coinvolgimento di esponenti legati all’Autorità nazionale palestinese (Anp) nel dopoguerra a Gaza. Si tratterebbe di un cambio, ancora non formalizzato pubblicamente, rivelato da più fonti giornalisitche, rispetto a una linea, in opposizione a quella Usa, ribadita con forza e più volte dal premier e che finora ha ostacolato i tentativi di elaborare proposte realistiche per il futuro della Striscia.

I principali collaboratori di Netanyahu sembrano giunti alla conclusione che individui con legami con l’Anp siano l’unica opzione praticabile che Israele ha se vuole fare affidamento sui “palestinesi locali” per gestire gli affari civili a Gaza dopo la guerra. Apertura che potrebbe aiutare anche a scongiurare una guerra con il Libano. Questione sulla quale è nuovamente intervenuto anche il Segretario di stato americano, Antony Blinken, secondo il quale Israele non vuole un conflitto ma “potrebbero essere pronti a impegnarsi in uno se necessario, dal loro punto di vista, per proteggere i loro interessi”. Per il segretario di Stato anche Hezbollah non vuole guerra e lo stesso vale per il Libano, che sarebbe la prima vittima, e per l’Iran. “Da un lato, nessuno vuole davvero una guerra. Dall’altro, c’è uno slancio che potrebbe portare in quella direzione che siamo determinati ad arrestare”, ha osservato Blinken.

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