martedì, 2 Luglio, 2024
Lavoro

Caporalato, in Italia il valore è di 68 miliardi di euro

L’analisi della Cgia. Fenomeno maggiore al Sud

Ammonta a 68 miliardi di euro il volume d’affari annuo riconducibile al lavoro irregolare in Italia, un fenomeno che coinvolge quasi 3 milioni di persone e che presenta una forte incidenza nelle regioni del Sud, dove si concentra circa il 35% di questo valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa. Questi dati emergono da un’analisi condotta dall’Ufficio studi della Cgia. Il Mezzogiorno rappresenta la ripartizione geografica con la percentuale più elevata di lavoratori irregolari, pari al 37,2% del totale. Le regioni maggiormente colpite sono la Calabria, la Campania e la Sicilia, con la Calabria che registra un’incidenza del lavoro irregolare sull’economia regionale pari all’8,3%, seguita dalla Campania con il 6,9% e la Sicilia con il 6,6%. A livello nazionale, la media è del 4,2%.

L’analisi della Cgia evidenzia che il settore dei servizi alle persone, come colf e badanti, è quello maggiormente afflitto dal lavoro irregolare, con un tasso di irregolarità del 42,6%. Segue l’agricoltura con il 16,8% e le costruzioni con il 13,3%. Anche il settore del commercio, dei trasporti e dell’ospitalità registra un tasso significativo del 12,7%.

La distribuzione geografica

Nel 2021, il lavoro irregolare ha generato 23,7 miliardi di euro nel Mezzogiorno, 17,3 miliardi nel Nordovest, 14,5 miliardi nel Centro e 12,4 miliardi nel Nordest. I 2.848.100 occupati non regolari stimati dall’Istat sono così distribuiti: 1.061.900 nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest. La Calabria registra il tasso di irregolarità più alto con il 19,6%, seguita dalla Campania con il 16,5% e dalla Sicilia con il 16%. Il lavoro irregolare è spesso una porta d’accesso al lavoro forzato, specialmente dopo la crisi economica provocata dalla pandemia. Le organizzazioni criminali, in particolare nel Sud Italia, hanno approfittato della vulnerabilità dei lavoratori, soprattutto stranieri, utilizzando violenza, minacce e sequestro di documenti per sfruttarli. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nel settore agricolo, dove il caporalato è una pratica consolidata.

Il caporalato rappresenta una delle forme più diffuse di sfruttamento lavorativo, soprattutto in agricoltura, edilizia, tessile, logistica e servizi di consegna. Le condizioni di sfruttamento sono aggravate dalla precarietà dello status giuridico dei lavoratori, dalle inadeguate condizioni di trasporto e alloggio e dalla necessità di manodopera per brevi periodi in luoghi isolati. Le aree più colpite includono l’Agro Pontino, l’Agro nocerino-sarnese, Villa Literno, la Capitanata e la Piana di Gioia Tauro.

Il monopolio

La struttura del mercato agroalimentare, spesso monopolizzata da poche grandi imprese della distribuzione, contribuisce all’alimentazione del caporalato. Le grandi catene mantengono i prezzi bassi nonostante i rincari, costringendo i piccoli produttori a ridurre i salari dei lavoratori. La direttiva UE contro le pratiche commerciali sleali è stata recepita in Italia, ma esclude i conferimenti dei soci nelle cooperative e le cessioni alle organizzazioni di produttori, lasciando molti lavoratori senza protezioni adeguate.

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