Sarà davvero “eterna” l’amicizia tra Mosca e Pechino come l’ha definita Xi nella recente visita di Putin? Nelle relazioni tra stati di eterno c’è poco o nulla. Tutto dipende dal calcolo degli interessi e dai rapporti di forza. In passato tra i due Paesi ci sono state fasi di forte tensione. Mao e Kruscev si disistimavano profondamente. La guerra in Ucraina ha segnato una svolta. A favore di Pechino e non solo per motivi economici. Putin ha bisogno di Xi più di quanto il leader cinese abbia bisogno dello zar.
Il Cremlino si troverebbe in una condizione di forte isolamento internazionale se non avesse il sostegno cinese. Che non è gratuito. La Cina non ha condannato l’invasione dell’Ucraina, sostiene di non aiutare militarmente Mosca, intanto acquista gas e petrolio da Mosca a prezzi stracciati ma senza trasformare questa convenienza in una dipendenza energetica. E questo la dice lunga sulla reale fiducia che i cinesi ripongono nei russi.
I dirigenti di Pechino sono pragmatici, non hanno alcuna intenzione di legarsi troppo a Putin se questo comporta il rischio di privarsi degli interscambi commerciali con Europa e Stati Uniti, senza dei quali l’economia del Dragone collasserebbe. A Xi fa comodo che il Cremlino si sia allineato con lui nel tentativo di creare un’egemonia cinese a livello mondiale per mettere in difficoltà l’Occidente. Putin ha accettato questo ruolo di subalternità, nelle casse della banca centrale di Mosca entrano più yuan che dollari e sta cancellando qualsiasi forma di ancoraggio alla cultura europea: nelle scuole russe si insegna il cinese, il turismo viene dirottato tutto sulla Cina. In pratica Putin sta sostituendo i tradizionali legami secolari tra Russia ed Europa con una “cinesizzazione” forzata dell’economia e dei modelli di riferimento del suo popolo. E’, forse, questa la più tragica delle scelte fatte da Putin: inseguendo l’illusione di riprendersi i Paesi della ex-Urss sta finendo per diventare un satellite della Cina che ovviamente ne approfitta.