domenica, 17 Novembre, 2024
Lavoro

Se il compenso è equo non solo per gli avvocati

Le cronache di questi giorni ci mostrano come – nel mondo sempre più complesso dei servizi professionali – il concetto di “equo compenso” per gli avvocati sia ormai divenuto fonte di polemiche, spesso ingiustificate, all’interno delle quali si vanno registrando prese di posizione fortemente critiche addirittura da parte di figure soggettive pubbliche che nulla avrebbero a che spartire con la questione del contenuto della legge n. 49 del 2023, che mirava a riformare (non solo rispetto agli avvocati) il modo in cui ogni professionista debba essere remunerato per il suo lavoro: quella legge si propone infatti di garantire ad ognuno di poter ricevere un compenso giusto e adeguato, indipendentemente dal potere economico – come tale obiettivamente condizionante – del singolo committente che si rivolga a quest’ultimo.

Non tutti vedono però di buon occhio queste modificazioni legislative: figure soggettive pubbliche, come ad esempio l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), sono giunte fino ad opporsi direttamente a tale riforma e la preoccupazione principale risiede nelle possibili conseguenze negative che potrebbero – a loro avviso – derivare dall’abolizione delle liberalizzazioni che fecero seguito al precedente regime tariffario, che in passato aveva garantito una certa stabilità e prevedibilità nella remunerazione degli avvocati.

Veniamo allora ad analizzare le dinamiche di questa controversa legge, individuando le implicazioni dell’abolizione della libertà di contrattazione fra avvocato e cliente, nonché le sue conseguenze su committenti forti come banche e imprese oligopoliste, soffermandoci in particolare sul rischio di mancata protezione dei contraenti più deboli: nel nostro caso, appunto, gli avvocati.

Per comprendere a fondo l’impatto della legge n. 49 del 2023, è essenziale fare un passo indietro e considerare il sistema che ha governato la tariffazione dei servizi legali in Italia fino a poco tempo fa, ove il regime tariffario per gli avvocati era rigidamente strutturato, non solo assicurando a questi ultimi una remunerazione prevedibile e sicura, ma proteggendo anche i clienti da spese legali eccessive o inaspettate.

Le tariffe erano infatti dettate in una tabella che stabiliva il minimo e il massimo del compenso per ogni tipo di servizio legale, consentendo pure una certa negoziabilità, purché entro limiti ben definiti.

Quel regime era particolarmente vantaggioso per i clienti meno abbienti e per i contraenti più deboli, che potevano accedere ai servizi legali conoscendo in anticipo il costo massimo che avrebbero dovuto sopportare.

Con l’abolizione del relativo meccanismo, il mercato dei servizi legali si è invece aperto ad una dinamica di prezzi molto più influenzata dalle forze del mercato, dove grandi committenti, come le Banche, potevano esercitare una maggior forza negoziale rispetto al passato e questo cambiamento ha portato con sé una serie di rischi, soprattutto per quelle controparti che non dispongono dello stesso potere contrattuale.

Per illustrare le implicazioni pratiche del nuovo regime introdotto, possiamo esaminare alcune ipotesi: uno scenario comune potrebbe essere quello di un piccolo studio legale che si trovi a negoziare con un grande cliente per la gestione di contenziosi di notevole valore; mentre, prima della liberalizzazione, il regime tariffario allora vigente garantiva una remunerazione certa e adeguata al lavoro svolto, con la riforma precedente a quella attuale quello stesso studio avrebbe potuto facilmente essere costretta ad accettare un compenso obiettivamente inadeguato, quando non addirittura insufficiente a coprire i costi operativi effettivamente sofferti.

Venendo ad un altra ipotesi, un avvocato specializzato in diritti dei consumatori avrebbe potuto trovarsi disincentivato ad occuparsi di casi di abuso economico da parte di grandi corporazioni nei confronti di singoli individui, dato il rischio di non vedersi, alla fine, adeguatamente compensato per le battaglie legali lunghe e complesse portate avanti, magari con successo.

In conclusione, la legge n. 49 del 2023 rappresenta un significativo cambiamento nel panorama legale italiano.

Mentre promette maggiore flessibilità e adattabilità, porta con sé sfide notevoli, soprattutto per i contraenti più deboli e per gli avvocati che servano clienti particolarmente forti.

Sarà fondamentale monitorare attentamente l’attuazione della nuova Legge e valutare le sue implicazioni a lungo termine, al di là dei pregiudizi che hanno accompagnato la sua introduzione nel nostro ordinamento.

Le discussioni future potrebbero includere la previsione di salvaguardie aggiuntive per proteggere sia i professionisti che i loro clienti, assicurando che l’equità e la qualità dei servizi legali non siano in alcun caso compromesse. La resilienza e l’adattabilità del settore legale italiano saranno cruciali per navigare in questo nuovo contesto normativo ed economico; evitiamo però di modificare quella Legge prima ancora che abbia iniziato a produrre i propri effetti.

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