Nel 2013 il Presidente del Consiglio Enrico Letta fece un capolavoro: accelerò con un decreto l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e ritirò un buon disegno di legge governativo sulla regolamentazione delle lobby, messo a punto tenendo conto anche dei suggerimenti dei professionisti delle relazioni istituzionali.
Sicché improvvisamente la politica si è trovata a dipendere dai soldi dei privati i quali hanno interessi legittimi da tutelare. La nuova legge sul finanziamento della politica è stata scritta male e si è creata così una zona grigia in cui non è chiaro quando i soldi dati a un partito sono manifestazione di liberalità, richiesta di attenzione, corrispettivo per una prestazione, insomma corruzione o pagamenti imposti dal politico, cioè concussione. A districare questa matassa interviene così la magistratura che, dovendo applicare leggi confuse e lacunose si espone al rischio di adottare provvedimenti discutibili e a volte sproporzionati.
Cancellare il finanziamento pubblico è stato considerato uno schiaffone dato ai partiti, l’ennesima concessione alla coppia malefica antipolitica-populismo. La vecchia legge era troppo blanda e i controlli sui bilanci in pratica non esistevano. L’inchiesta di Mani pulite confuse spesso l’illecito finanziamento -cioè la mancata dichiarazione di soldi ricevuti dai privati- con la corruzione. Sarebbe bastato rendere più rigorosi i controlli, limitando anche i contributi dei privati ad una percentuale non superiore al 25% di quelli dati dallo Stato. Invece di migliorare la norma ci fu un referendum abrogativo che ne cancellò larga parte.
Ai partiti i soldi pubblici arrivarono comunque come rimborsi elettorali, ma sempre senza adeguati controlli. Poi Letta decise di eliminarli del tutto. Votarono contro SEL di Vendola, la Lega del neo segretario Salvini e i grillini che volevano norme più draconiane. Ora tutti piangono sul latte versato. Intanto la legge sulle lobby non va avanti e nessuno ha il coraggio di chiedere il ritorno al finanziamento pubblico. Ma almeno si potrebbe introdurre un correttivo elementare: il candidato che prende soldi alla luce del sole da un privato non può adottare che riguardino gli interessi di chi gli ha finanziato la campagna elettorale. Semplice no?