lunedì, 16 Dicembre, 2024
Editoriale

Finito il Coronavirus dovremo rifare l’articolo V

Tra le svariate strampalaterie della riforma costituzionale fatta approvare da Renzi e poi sonoramente bocciata dagli italiani (e che ha segnato, praticamente la fine della carriera politica del rottamatore fiorentino), oltre a prevedere un’assurda rivisitazione della composizione del Senato ed altre amenità varie, c’era però un capitolo lungimirante e sensato, che se fosse stato possibile astrarre dal referendum (ma non lo era) e trattenerlo in vita, avrebbe forse evitato gran parte del caos che si è generato in questi giorni, soprattutto nella fase iniziale del dilagare dell’epidemia, quando il governo decideva, annaspando, con decreti del premier ed ogni regione legiferava a modo suo, seminando fra i cittadini solo confusione, dovuta a mancanza di direttive univoche, valevoli per tutto il territorio nazionale.

La riforma Renzi-Boschi prevedeva la soppressione delle materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni e soprattutto rispetto a istruzione, tutela della salute, governo del territorio, attività culturali e beni culturali era previsto che spettasse alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dettare “disposizioni generali e comuni”. E, last but not least, nel nuovo articolo 117 della Costituzione era introdotta la cosiddetta “clausola di supremazia”, che prevedeva, anche per le materie non di competenza statale, l’intervento del governo qualora lo avesse richiesto “la tutela dell’unità generale ed economica della repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Norme sacrosante, che avrebbero evitato il bailamme di ordinanze, decreti, delibere e decisioni adottate a vario titolo anche dal capo della Protezione civile, che hanno scandito, in tutto Paese, preso alla sprovvista, le prime goffe contromisure all’espandersi del virus. Tutto il problema nasce da quella scriteriata riforma del titolo V, approvata nel 2001, governante Giuliano Amato (che era però contrario), ma fortemente voluta dal Pd che tentò di giocare di anticipo contro Bossi e la Lega.

Un mero calcolo tattico, a tutto danno degli italiani. Più realisti del re, più federalisti di Bossi, secondo la vecchia strategia mutuata dal Pci che prima delle elezioni si dovesse fare tutto quello che fosse elettoralmente conveniente. La Lega non era ancora incappata nelle ruberie del suo tesoriere e nell’allegra gestione della famiglia Bossi e bisognava toglierle consensi nel suo bacino elettorale più consolidato, la Lombardia e il Veneto. La successiva riforma approvata dal governo Berlusconi nel 2006 e poi anch’essa sonoramente bocciata dal referendum popolare, concedeva, invero poteri ancora più ampi su varie materie alle regioni, ma sulla sanità introduceva la “clausola di supremazia”, che sarebbe stata poi, ma invano, pedissequamente ripescata dalla riforma Renzi-Boschi. Ora in questi giorni in cui il nemico comune è il coronavirus non c’è tempo per imbastire confronti e discussioni su quella che, quando tutto sarà finito, sarà la seconda emergenza cui mettere mano.

Il Paese, pianti i suoi morti cui sono stati negati anche i congedi funerari, dovrà risollevarsi dalla terribile crisi economica che è già esplosa e che ci sta costringendo a sfondare il patto di stabilità e a contrarre nuovi paurosi debiti. Sarà un’impresa titanica, che comporterà sacrifici e che si trascinerà per anni.

Nel contempo, il Parlamento, memore di quanto è accaduto in questi frangenti, dovrà rimettere mano al Titolo V, razionalizzandolo nei settori nevralgici della sanità e dell’istruzione, accentrando i poteri nelle mani dello Stato, perché con i morti e con i giovani non si scherza. Non si può scherzare, non ci possono essere regioni virtuose con i loro ospedali d’avanguardia e altre abbandonate al loro destino, non si possono studiare grammatiche, aritmetiche, e soprattutto la nostra storia, affidandosi a programmi creativi e diversi. Se siamo una Nazione dobbiamo essere istruiti tutti allo stesso modo.

Qui non si vuole certo proporre un modello keynesiano di social state, un welfare invasivo di impostazione comunista, bocciato dalla storia. E magari si raggiungerebbe il colmo, con i loro storici che imputerebbero a Cavour e Garibaldi il grave torto di esserci venuti a colonizzare e i nostri ragazzi di qui avrebbero tutte le ragioni per sentirsi “cornuti e mazziati”. Ma in certe materie essenziali il potere centrale non può concedere deleghe, deve garantire i servizi pubblici, lasciando anche campo libero al privato. Occorrerà contemperare le esigenze, garantendo il controllo centralizzato per evitare che i livelli locali fuori registro possano arrecare danni alla collettività. Altro che “autonomia differenziata”, quel “mostro” tecnico-giuridico che il governo Salvini- Di Maio stava per varare. Certo i leghisti insorgeranno, soprattutto in Lombardia e in Veneto, ma dovranno farsene una ragione. Potranno continuare a magnificare la loro efficienza, anche sotto l’egida dello Stato.

Del resto il Salvini che tenta di sbarcare in forze al Sud la lezione deve averla già capita. Il coronavirus un merito (è davvero un paradosso!) lo avrà avuto. Avrà mandato definitivamente il soffitta i rigurgiti devoluzionisti che appartennero al senatur quand’era all’apice dello splendore. E quelle cerimonie con le ampolle alla foce del Po appariranno finalmente in tutta la loro luce, che era chiara già allora: autentiche pagliacciate

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