La Dottrina sociale della Chiesa cattolica prevede la legittima difesa, ma questa va esercitata all’interno di alcune condizioni, inquadrando il problema della ‘guerra giusta’ sul piano etico e teologico. Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa a oltranza con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale.
Nell’anticipazione dell’intervista avente ad oggetto i conflitti Russia/Ucraina e quelli in Medio Oriente rilasciata alla Radiotelevisione svizzera, che uscirà integralmente il 20 marzo, Papa Francesco ha invitato l’Ucraina a considerare l’ipotesi delle trattative di pace, facendo leva sul ruolo delle grandi potenze internazionali. L’elogio delle trattative, per fermare i massacri della guerra, e quel suo riferimento alla bandiera bianca da alzare, ha sollevato interpretazioni polemiche su un possibile invito di Bergoglio a Kiev affinché si arrenda, soprattutto da parte di chi non conosce il magistero di sempre dei vari pontifici che si sono succeduti negli ultimi tempi.
Papa Francesco ha solo ripreso uno dei punti della Dottrina sociale che fa riferimento alla necessità di avviare una negoziazione per finire la guerra. Per resistere a oltranza occorre contemporaneamente che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo, che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci e che ci siano fondate condizioni di successo. In più, che il ricorso alle armi per difendersi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Ecco perché Papa Bergoglio, impegnato fin dall’inizio nella ricerca di una trattativa di pace tra Ucraina e Russia, ha solo rivolto un invito legittimo a Kiev affinché si carichi, con senso di responsabilità e senza alcuna vergogna, il ruolo di apripista per una soluzione che ponga termine alla prosecuzione, a tempo indeterminato, delle ostilità di guerra che al momento non lasciano intravedere alcuna strada per la vittoria.
Naturalmente – e lo precisa il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, nella successiva sua intervista al “Corriere della Sera” – perché “si creino le condizioni per una risoluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura” non dipende da “una sola parte, bensì da entrambe e la prima condizione è proprio quella di mettere fine all’aggressione. “Il negoziato, infatti, aggiunge Parolin, non è mai una resa e quando la Santa Sede chiede di cessare il fuoco lo chiede innanzitutto all’aggressore che per primo dovrebbe consentire l’apertura di trattative. Peraltro il Segretario di Stato condivide e conferma l’opinione del Santo Padre secondo la quale “negoziare non è debolezza, ma è forza. Non è resa ma coraggio”.
L’intervista a tutto campo del Segretario di Stato mostra quale sia la sua grande capacità di giudizio e quanto la sua visione geopolitica spazi nel tempo e nello spazio, toccando anche implicazioni di carattere antropologico: “la guerra scatenata contro l’Ucraina non è l’effetto di una calamità naturale incontrollabile ma della libertà umana, e la stessa volontà umana che ha causato questa tragedia ha anche la possibilità e la responsabilità di intraprendere passi per mettervi fine e aprire la strada a una risoluzione diplomatica”. Senza la quale c’è il rischio di un allargamento della guerra con conseguenze apocalittiche.