domenica, 17 Novembre, 2024
Società

Giornata della donna tra gioie, delusioni, amarezze e aspettative 

Nell’anno appena passato, hanno perso la vita ben 120 donne, giovanissime e meno giovani, nubili, accompagnate, coniugate e anche con bimbi nel loro grembo. Il carnefice, purtroppo, è sempre l’uomo, in nome del patriarcato, del padre padrone che sopprime la figlia perché si rifiuta di sposare il suo prediletto o, spesso, il maschio, in branco, anche in età minorile, dopo aver compiuto atti di di violenza sessuale di gruppo e stupri indescrivibili.

Uccidere è un delitto che non ammette ragioni, alibi o motivazioni di sorta, ma la minaccia delle aspre sanzioni non scoraggia sufficientemente i presunti responsabili, beneficiari dei principi costituzionali della presunzione di innocenza, dei tempi biblici nell’iter processuale, nonché per le attenuanti sulla riduzione della pena edittale e sugli sconti premiali in corso di espiazione. La vita carceraria, purtroppo, non sempre riesce a rieducare il condannato.

Costò  30 anni di detenzione, interamente espiati, la tentata violenza ad opera del giovane Alessandro Serenelli, nei confronti della ragazza di 11 anni, Maria Goretti, colpita ripetutamente con un punteruolo, non essendo riuscito nel suo intento di abusarne sessualmente. Le due rispettive famiglie – amiche – Goretti e Serenelli vivevano nella medesima “Cascina Antica” dell’agro dell’attuale Cisterna di Latina e il giovane Serenelli, dopo vari tentativi, il 5 luglio del 1902, con la scusa di farsi rammentare dei vestiti, attira Maria in casa e tenta di violentarla. Ricoverata nell’Ospedale di Nettuno, muore il giorno dopo di setticemia ed il Serenelli, incolpato, processato e condannato a 30 anni di reclusione.

Papa Pio XII, per le virtù acquisite, il 24 giugno 1950, in Piazza San Pietro, in occasione dell’anno giubilare, dichiara la canonizzazione di Maria Goretti; mentre Papa Francesco, sull’idea del predecessore, papa Benedetto XVI, la associo a Santa Dinfna come “protettrice delle vittime di stupro”.

Negli anni ’80 alcune attiviste per i diritti delle donne, irritate per i misfatti nei loro confronti, arrivarono a protestare esternando che: “La donna deve resistere fino alla morte, altrimenti è consenziente, cioè è complice del proprio stupratore”.

Dire che oggi siano stati fatti passi avanti con la fattispecie del reato di femminicidio e con altre tipologie di reati per il bullismo e cyberbullismo è inesatto perché la strada verso una vera cultura civica è ancora lunga e irta.

La scuola non riesce a svolgere il suo ruolo formativo e la famiglia spesso è assente o molto distratta per gli eccessivi impegni quotidiani conseguenti all’indipendenza economica tra i coniugi.

La realizzazione e la gratificazione della coppia nel mondo del lavoro hanno un prezzo molto elevato in termini di un sano e regolare rapporto educativo verso la prole, nonostante le forze politiche e di Governo stiano in continuazione ad adottare metodi e mezzi di soccorso per eliminare ogni disparità di trattamento tra i due generi e facilitare la presenza di vera uguaglianza in ogni settore di lavoro e di impiego, anche nelle posizioni apicali.

Bisogna, comunque, rovistare bene nella società, analizzarne i cambiamenti, le esigenze e le aspettative; guidare le giovani generazioni senza mai abbandonarle per evitare che siano sopraffatte dalle numerose insidie, prima che sviluppino gli anticorpi. Occorre pensare a un tipo di educazione e formazione continua, sapendo anche pronunciare qualche NO!

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